Come agiscono gli stereotipi di genere: agency e communality

Oggi voglio tornare a parlare di gender studies (studi di genere), e di una parte della teoria che è stata elaborata per spiegare i processi di costruzione sociale delle differenze di genere in modo diseguale e gerarchico, che svaluta ciò che è associato alla femminilità al fine di costruire e mantenere un’inferiorità sociale delle donne. Naturalmente, si tratta di un riassunto di un argomento molto vasto e che è stato affrontato da moltissimi angoli, perciò alla fine del post riporterò una bibliografia parziale per chi desidera approfondire.

Gli stereotipi del maschile e del femminile nella cultura occidentale si basano sulla polarizzazione e contrapposizione di due macro-categorie, agency e communality, che racchiudono l’85% dei tratti caratteriali su cui si basa la formazione delle impressioni stereotipate, sia verso individui singoli che verso gruppi. L’associazione fra agency e maschilità, da una parte, e fra communality e femminilità, dall’altra, diventa un’aspettativa normativa nei confronti di uomini e donne che entra in gioco nelle interazioni, e in questo senso struttura due ruoli di genere, il ruolo maschile (masculine role) e il ruolo femminile (feminine role).

Agency e communality sono due diverse modalità di agire nel mondo sociale: la prima fa riferimento alla tensione verso il raggiungimento dei propri obiettivi e richiede un orientamento al compito e il possesso di competenze e potere, mentre la seconda fa riferimento alla capacità di stringere relazioni con gli altri e richiede un orientamento alla persona e il possesso di calore ed espressività (intesa come capacità di comunicare le proprie emozioni e stati d’animo e di leggere quelli degli altri) (Volpato, 2013). Ma agency e communality sono anche dimensioni attraverso le quali noi ‘leggiamo’ le persone che incontriamo e ci formiamo impressioni su di loro, al punto che è possibile ricondurre a queste due macro-categorie l’85% delle impressioni che gli individui elaborano su altre persone e gruppi (Volpato, 2013). Nella cultura occidentale, i tratti agentic sono connotati come maschili e quelli communal come femminili: questa dicotomia deriva dal fatto che “il contenuto degli stereotipi di genere è collegato alla divisione del lavoro e ai ruoli storicamente ricoperti da uomini e donne: si attribuiscono alle donne caratteristiche communal poiché tali attributi sono coerenti con il loro ruolo domestico e di cura, agli uomini caratteristiche agentic poiché tali attributi sono coerenti con il loro ruolo di lavoratori”, per cui “sono la divisione del lavoro e la gerarchia di genere a far associare gli uomini ai tratti agentic e le donne a quelli communal” (Volpato, 2013); in altre parole, “i tratti di personalità associati ai due generi derivano dai diversi ruoli sociali e dal diverso status assegnato a uomini e donne” (Volpato, 2013, corsivo mio).

Nella rappresentazione sociale le donne sono associate a calore affettivo, empatia, cura, dolcezza, gentilezza, comprensione, dono di sé, dunque sono stereotipizzate come meravigliose, ma deboli: lo stereotipo presuppone che esse diano priorità agli altri e abbiano un orientamento verso le componenti relazionali di un ruolo piuttosto che verso le componenti legate allo svolgimento di compiti e al perseguimento di obiettivi. Specularmente, la rappresentazione sociale degli uomini li associa ad attributi quali competenza, strumentalità e potere, che comportano l’essere autocentrati, orientati al compito e impegnati nel raggiungimento dei propri obiettivi, e di conseguenza implicano tratti caratteriali quali competitività, assertività, asprezza: dunque gli uomini sono stereotipizzati come duri ma vincenti e legittimati socialmente a dare la priorità a sé stessi e ai propri obiettivi anche a discapito delle relazioni con le persone che li circondano. Questo significa che le donne pagano un prezzo maggiore nei rapporti con gli altri se danno la priorità a sé stesse rispetto ai bisogni altrui, venendo considerate antipatiche, ostili, prepotenti, altezzose laddove invece gli uomini hanno maggiori margini di libertà e non subiscono giudizi altrettanto aspri a parità di comportamenti.

I tratti communal sono percepiti come positivi, come dotati di valore sociale, ma anche come slegati dalla competenza, e in questo senso non danno una connotazione di prestigio agli individui o alle mansioni che rientrano in questa sfera; essendo inoltre legati al ruolo di cura storicamente attribuito alle donne, essi hanno una più forte dimensione normativa rispetto ai tratti agentic, che invece godono di maggiore prestigio sociale: possedere i tratti communal non è un merito, ma un requisito della femminilità, per le donne, mentre non possederli o respingerli è un demerito, al punto che si parla di femininity-competence double bind (doppio vincolo femminilità/competenza) per riferirsi a quel fenomeno per cui le donne di potere che adottano atteggiamenti meno ‘femminili’ (più agentic) per difendere la propria autorità dalla minaccia dello stereotipo sono giudicate negativamente e, all’inverso, le donne che adottano una presentazione di sé più ‘femminile’ sono giudicate meno competenti e autorevoli (Campus, 2013; Volpato, 2013), mentre gli uomini non subiscono un fenomeno analogo perché maschilità e competenza non sono considerate in antitesi, ma anzi la maschilità è definita dal possesso dell’agency.

La maschilità comporta una maggiore rigidità dei confini di genere rispetto a quelli del genere femminile per due ragioni: da un lato, il fatto che in un contesto culturale androcentrico essa implichi uno status superiore, che deve essere ‘protetto’ e che sarebbe messo in discussione dalla permeabilità dei suoi confini, dall’altro il fatto di essere un obiettivo da perseguire attraverso un processo di distanziamento dal femminile che comincia nell’infanzia e deve essere portato avanti di fronte allo sguardo degli altri per tutta la vita. Come mette in luce il sociologo Michael Kimmel, diventare ragazzi e poi uomini è un percorso costruito per opposizione, che prevede una presa di distanza dalla femminilità, la quale non può essere oggetto di curiosità, di desiderio (si devono desiderare le ragazze, ma non si può desiderare di essere come loro, non si può ammettere di sentire dentro di sé la domanda What it feels like for a girl? – come ci si sente ad essere una ragazza? – di cui cantava Madonna) ma deve essere confinata fuori da sé. La femminilità può essere pensata come un set di caratteristiche di personalità e di marcatori nella presentazione di sé, mentre la maschilità nella nostra società viene costruita solo come una negazione del femminile e quindi non è mai interamente definibile da una serie di elementi da acquisire e che restano consolidati una volta acquisiti: la maschilità va sempre riaffermata ed è sempre in bilico, precaria, perché il giudizio degli altri uomini su cosa è ‘abbastanza maschio’ sposta sempre l’asticella un po’ più in alto.

Nella nostra società ci sono ruoli, come quelli di leadership, che sono rappresentati come caratterizzati da una predominanza della componente di agency su quella di communality, ovvero sono definiti dallo svolgimento di compiti piuttosto che dalla componente relazionale, e sono stereotipizzati come maschili proprio in virtù di questo fatto, confermando la stretta associazione fra maschilità ed agency esistente nella nostra cultura (Volpato, 2013). Ma come avviene tutto quello che abbiamo descritto finora? Come si costruiscono due generi diversi e divisi lungo le linee di agency e communality?

Fin dalla prima infanzia, i bambini e le bambine imparano che sapere di essere maschi o femmine e sapere che cosa è appropriato per un maschio o per una femmina (colori, giocattoli, accessori, atteggiamenti) è uno step necessario per essere ammessi nei gruppi di pari dei coetanei. Questo perché quella per sesso è la prima categorizzazione delle persone che un bambino o bambina acquisisce nel corso del suo sviluppo cognitivo e sociale (Cahill, 1986) e dimostrare di aver compiuto questo passo di fronte agli altri bambini, di saper dire se si è un maschio o una femmina e se gli altri sono maschi o femmine, è una fonte di prestigio, una competenza sociale che distingue i ‘bambini grandi’ dai ‘piccoli’. Essere ‘un bambino piccolo’ è infatti un’etichetta svilente e dispregiativa fra i bambini, mentre essere considerato ‘un bambino grande’ è motivo di orgoglio e consente di assumere un ruolo di leadership nelle attività di gioco di gruppo. Spencer Cahill descrive l’acquisizione di un’identità di genere e della capacità di classificare persone, oggetti e comportamenti in base al genere (cose da femmine, cose da maschi) come una tappa nella transizione da infante (baby) a bambino/a (boy/girl), notando che nella nostra società non è data la possibilità di una transizione ‘neutra’ da baby a child o kid (due termini per indicare i bambini che in inglese non implicano un genere e possono riferirsi a bambini e bambine indifferentemente). Nel momento in cui si smette di essere un baby, si diventa automaticamente genderizzati come boy o come girl.

Di fatto, in una società che ancora coltiva aspettative differenziate nei confronti di bambine e bambini e in cui è in atto un processo di ri-genderizzazione – cioè di rafforzamento di una socializzazione volta a mantenere in essere un ordine sociale di genere diseguale, come parte di un processo più vasto di reazione contro i cambiamenti che ci stanno avvicinando alla parità di genere e alla messa in discussione della naturalità della costruzione dei generi come due, intrinsecamente diversi e necessariamente complementari (Abbatecola e Stagi, 2017) – abbiamo bisogno di rendere permeabili i confini fra ciò che è connotato come riservato a un genere e ciò che è connotato come appartenente solo all’altro, affinché sia bambini che bambine possano avere accesso al ‘meglio di entrambi i mondi’ e coltivare così sia i lati agentic che quelli communal, realizzando personalità equilibrate e avendo accesso a un ventaglio di opportunità più ampio. In questo senso, il fatto che le identità femminili, nelle nuove generazioni di giovani adulte (18-30 anni) stiano abbracciando un modello di femminilità più forte, in cui gli attributi tradizionali di dolcezza, remissività, dono di sé agli altri, insicurezza, timidezza e graziosità stanno lasciando spazio o coesistendo con maggiore assertività, sicurezza in sé stesse, fierezza, è un segnale positivo. L’avvicinamento dei bambini alla sfera della communality e delle bambine alla sfera dell’agency, tuttavia, non è destinato ad avvenire in modo simmetrico, perché la maschilità ha un valore più strettamente normativo della femminilità, in quanto il modo in cui essa è costruita deriva dalla necessità di mantenere uno status diseguale fra uomini e donne nella società. Dobbiamo quindi chiederci come favorire, soprattutto attraverso l’adolescenza, lo sviluppo di maschilità che accolgano gli aspetti di attenzione verso gli altri, verso i loro bisogni, nelle relazioni interpersonali. Questo non significa rinunciare agli aspetti positivi che la maschilità incarna, ma affiancarli a nuovi elementi che possano arricchirla della dimensione communal. 

Fonti:

  • Abbatecola, Emanuela, e Stagi, Luisa (2017). Pink is the new black. Stereotipi di genere nella scuola dell’infanzia, Rosenberg&Sellier, Torino;
  • Cahill, Spencer (1986). Language practices and self definition: the case of gender identity acquisition. The Sociological Quarterly 27(3), 295-311;
  • Campus, Donatella (2013). Women political leaders and the media, Palgrave MacMillan, Houndmills, Basingstoke;
  • Kimmel, Michael S. (2002). Maschilità e omofobia. Paura, vergogna e silenzio nella costruzione dell’identità di genere, in Leccardi, Carmen (a cura di) (2002) Tra i generi. Rileggendo le differenze di genere, di generazione, di orientamento sessuale, Guerini, Milano.
  • Volpato, Chiara (2013). Psicosociologia del maschilismo, Laterza, Roma-Bari, 2013.

18 pensieri su “Come agiscono gli stereotipi di genere: agency e communality

    • Precisamente. E solo riconoscendo che tutti abbiamo il diritto di essere sia forti che vulnerabili, e di abbracciare entrambi gli aspetti dentro di noi, possiamo abbattere questa divisione arbitraria.

  1. Articolo molto interessante e molto complicato, di cui in passato avevamo in parte parlato, sicuramente è difficile catalogare la mascolinità e la femminilità, dato che nel tempo molte cose cambiano, e negli ultimi decenni molte società sono cambiate in modo rapido e radicale rispetto al passato.
    Io penso che ci sarà per cosi dire sempre una divisione tra uomini e donne, non solo nel senso biologico, tutte le società che la storia ci ha fatto conoscere, donne e uomini si sono divisi, essere donna o essere uomo non è mai stato la stessa cosa.
    Oggi la società è nettamente cambiata, sicuramente siamo d’accordo che il sesso non dovrebbe essere un limite a voler intraprendere un certo lavoro e/o una certa carriera.
    Sul fatto “What it feels like for a girl?” non so se i ragazzi/uomini si fanno questa domanda, dal mio punto di vista le differenze sono principalmente fisiche, discorso diverso e se ci chiediamo “cosa si prova ad essere una donna in questa società”, ma in quel caso non saprei, e comunque la vedo già una domanda diversa dal provare interesse per la femminilità.
    Poi per esempio ci sono uomini a cui piace vestirsi da donne, tali persone hanno questo feticcio, anche se non hanno nessuna intenzione di cambiare sesso e non sono omosessuali, questo lo possiamo intendere come un interessamento alla femminilità? oppure gli uomini che hanno sempre dei feticismi per l’intimo femminile.
    Poi il discorso si complica ulteriormente se parliamo delle Drag Queen.
    Sicuramente fa ridere che per esempio, per una donna è normale usare intimo maschile per uno spot sull’intimo maschile.
    Che poi sul discorso dell’affetto legato alla femminilità, ma quando gli uomini giocano e coccolano e si fanno coccolare dai propri animali domestici, quello come lo dovremmo chiamare?

    • Parto dal fondo: l’affetto è un bisogno umano che tutti abbiamo il diritto di esprimere, con gli animali o con le persone con cui siamo in intimità. Reprimere o nascondere il proprio bisogno di affetto è una cosa che fa male, ed è purtroppo una cosa più associata al maschile che al femminile.
      Per quanto riguarda la femminilità, non credo che essa possa essere associata solo a ornamenti nella presentazione di sé (trucco, vestiti femminili, ecc.): credo che sia un complesso modo di sentirsi che deriva dal fatto di essere una ragazza o una donna in una specifica società. Infatti, non credo che le donne in altri luoghi del mondo vivano la femminilità allo stesso modo in cui la vivono le donne occidentali, e in effetti credo che esistano infinite sfumature di femminilità che ognuna di noi coltiva e rielabora a partire dagli stimoli che la società offre. Credo che “cosa si prova a essere una donna?” presupponga sempre “in questa società”, perché possiamo conoscere intellettualmente le altre società, ma non sarà mai come viverci davvero, se non ci trasferiamo lì e sperimentiamo il loro modo di vivere per anni.

    • Grazie, sono un po’ in ritardo ma ricambio gli auguri e ti auguro soprattutto un 2020 che tu possa, una volta arrivato a dicembre, voltarti indietro a guardare come un anno di soddisfazioni e di obiettivi raggiunti.

      • Non perdere la determinazione, la vita ci pone davanti a momenti difficili e faticosi, ma se hai chiaro qual è il tuo percorso, puoi affrontarli sapendo cosa vorrai fare una volta che li avrai superati.

  2. Penso che il discorso della mascolinità e della femminilità vada anche a toccarne un altro, ovvero quello dell’orientamento sessuale.
    Per esempio quando si parla della mascolinità/virilità, non vengono considerati gli omosessuali, che non vengono considerati veri uomini oppure i bisessuali(come me) a cui non va meglio, che in poche parole siamo degli invisibili , mentre invece per una donna la bisessualità non viene considerata un problema per la propria femminilità anzi.
    Poi onestamente penso che una “femminilizazione”(se cosi si può chiamarla) degli uomini sta già avvenendo, tipo una maggiore cura del proprio corpo, anche culturalmente, il fatto di considerarsi anche oggetto del desiderio(prendi la nuovo pubblicità di intimissimi uomo con Diletta Leotta).
    Questo per certi versi spaventa alcuni uomini forse, senza considerare che le donne sembrano migliorare la propria situazione(per fortuna), e se prendiamo le donne di spettacolo, ormai loro sono tante cose in una, senza rinnegare le altre, quindi imprenditrici,ricche,famose,belle,mamme, intelligenti ecc… sommando poi tanti ruoli come imprenditrici,attrici,cantanti,ballerine ecc…
    Comunque ci sono alcuni modelli maschili, da cui prendere spunto secondo me, penso per esempio a Cristiano Ronaldo, che oltre ad essere un ottimo sportivo, un bellissimo e ricchissimo uomo, sembra pure un bravo padre e un bravo marito, oltre a questo e molto famoso per la beneficenza che fa e per la sua umanità, sopratutto nei confronti dei bambini malati.

    https://www.gazzetta.it/Calcio/Liga/23-11-2017/cristiano-ronaldo-campione-cuore-d-oro-bomber-piu-generoso-230828516774.shtml

    https://it.eurosport.com/calcio/uefa-nations-league/2018-2019/cristiano-ronaldo-ferma-il-bus-del-portogallo-per-abbracciare-un-giovane-fan_sto7320858/story.shtml

    https://www.sportmediaset.mediaset.it/calcio/juventus/cristiano-ronaldo-cuore-doro-gioca-con-un-bimbo-senza-gambe-una-vera-ispirazione_12867337-201902a.shtml

    • Io penso che essere un bravo padre per i propri figli e un compagno comprensivo e dolce per la propria compagna (o per il proprio compagno) siano cose meravigliose, che non dovrebbero assolutamente far sentire ‘di meno’ un uomo, ma dovrebbero farlo sentire bene, perché è bello sapere di essere una fonte di conforto e di sostegno per le persone che ci amano, no?

  3. Ovviamente per quanto riguarda il discorso virilità e femminilità, anche il discorso riguardante la sessualità ha una sua importanza.
    Ognuno e ognuna di noi ha le sue fantasie e i suoi fetticci, quelli sono personali, io penso che bisogna sempre chiarire alcune cose. Se si sta con una persona, uomo o donna che sia, oltre hai propri desideri, bisogna considerare anche quella dell’altra persona ovviamente.
    Io come tutti ho i miei “feticci”, ovviamente il desiderio sarebbe di stare con una persona, che li simili o uguali a miei, dato che preferisco stare con una persona che abbia le mie stesse fantasie piuttosto che mi faccia contento, non so se mi spiego.
    Ovviamente in una coppia, si devono chiarire i limiti, sicuramente non mi piacerebbe, se la mia partner mi “accontenterebbe”, certo potrebbe anche capitare che poi quella pratica gli piace, ma vorrei che lei provasse piacere, se posso essere diretto.
    Penso che se si amano le donne, bisogna anche pensare a quel aspetto, non vorrei mai che la mia partner fingesse, solo per farmi contento.

    • Fingere di apprezzare qualcosa che in realtà non ci rende felici, o peggio ci causa emozioni negative, non è solo sbagliato, è anche molto dannoso per il proprio benessere emotivo. In generale, credo che in una relazione non debba esserci questo tipo di accondiscendenza, soprattutto in ambito sessuale ma anche in tutti gli altri ambiti. Se a me non piace giocare ai videogiochi, il mio ragazzo non può risentirsi perché non voglio farlo, e io non dovrei sentirmi obbligata a imparare a fare una cosa che non mi attira, perché i passatempi devono renderci felici, non devono diventare incombenze o doveri.
      Quante battute sui rapporti di coppia dipingono una situazione in cui la moglie porta il marito disperato a noiosi concerti di musica classica, per musei, a fare shopping, mentre lui esprime la sua disperazione in modi esagerati?
      E quante battute esistono sulla variante “lui vuole fare sesso ma lei ha mal di testa”?
      Questa visione delle relazioni è estremamente tossica. Bisognerebbe essere onesti e aperti e accettare che non tutti i gusti e non tutti gli interessi possono essere condivisi, e va bene così.

  4. Comunque vedendo molte opere di fantasia, parlo di opere mainstrem ovviamente, vedo che molte di esse fanno un rapporto equilibrato tra uomini e donne, senza essere ne troppo politicamente corrette, ne sminuire i personaggi maschili, quindi penso che piano piano sulla rappresentazione in molte opere di fantasie, piano piano questi stereotipi stiano cadendo.
    Comunque che gli stereotipi sono cose molti forti da superare e cose note, per fare un esempio di stretta attualità, nel messaggio di solidarietà del giornale tedesco Bild(il giornale tedesco più letto li) al popolo italiano, per via della pandemia da Covid-19, pur quanto le loro intenzioni sono buone, ci sono molte cose su di noi, che diciamo sono abbastanza stereotipate.

    • Anch’io sto vedendo un grande progresso nella rappresentazione di genere negli ultimi anni, facendo un confronto ad esempio con il 2014 (anno del #GamerGate). Un’altra cartina di tornasole è il fatto che il blog Escher Girls, che riporta immagini fortemente sessualizzate e dall’anatomia impossibile di donne nei media come videogames, fumetti, copertine di libri ecc, ultimamente non copre più con la stessa frequenza opere mainstream, segno che il messaggio è stato acquisito e c’è più attenzione a rappresentare in modo realistico i personaggi femminili.
      Io non ho mai pensato che una positiva rappresentazione femminile implichi sminuire i personaggi maschili, quanto piuttosto mostrare uomini e donne che lavorano insieme, senza che le donne restino ai margini.

      • Anche perchè se poi si voleva usare il “fanservice”, ovvero mostrare donne poco vestite e scene di sesso, bastava metterle ma come normali storia d’amore, o avventure dei personaggi, del resto è normale che i personaggi facciano sesso, ci sono videogames dove per esempio puoi avere delle relazioni romantiche, i più famosi che mi vengono in mente sono la saga di Mass Effect e The Witcher, piuttosto che mettere donne mezze nude dovunque, senza nessuna spiegazione.
        Su questo concordo, quello che volevano dire e che spesso, certi creatori di opere di finzioni non bravi nella caratterizzazione dei personaggi, per fare vedere una donna forte, mettono dei personaggi maschili imbarazzanti, oppure mettono determinati tipi di personaggi, che siano omosessuali o donne, solo per un discorso di politicamente coretto, ma sono messe malissimo, e si vede che sono messe li solo per quel motivo.
        Volendo mettere due opere dello stesso Franchisse, solo che nella prima c’è questo problema, mentre la seconda è molto più bella, e non c’è questo problema, anzi la rappresentazione dei personaggi maschile e femminile, è veramente fenomenale, e devo dire onestamente che te la consiglio.
        La prima è Star Trek Discovery, la seconda è Star Trek Picard.
        Un altra opere dove la rappresentazione maschile e femminile è ben fatta è Halo, dove il protagonista ovvero lo Spartan II John-117/Sierra 117, è un super-soldato, che fa parte del programma Spartan II, in questo programma del ONI, ovvero l’intelligence navale del UNSC(commando spaziale delle nazioni unite), venivano rapiti bambini di 6 anni dalle rispettive famiglie, e sostituiti da cloni che sarebbero morti da li a poco.
        Questi bambini venivano addestrati nell’arte della guerra, e arrivati a 10/12 anni, gli venivano fatti dei potenziamenti genetici, molti morivano nel processo, ma molti altri sopravvivano, e oltre a continuare l’addestramento, gli veniva dato un esoscheletro dotato di armatura e di scudi energetici.
        Anche se parliamo di un super soldato, nel gioco si parla dei sui sentimenti, e del fatto che se anche se è un ottimo soldato, che a svolte importanti missili con successo, e che ha contributo a salvare il genere umano e come se fosse rotto, proprio per via del suo passato.
        Durante la sua vita gli viene “donata” un I.A. di supporto, ovvero Cortana(quella di Windows 10 e Phone, prende spunto da quella del videogames), con voce e sembianze femminili, la sua personalità è stata copiata dalla Dottoressa Catherine Elizabeth Halsey , che è stata la direttrice del programma Spartan II, che trattava con rispetto i suoi Spartan, e infatti anche loro la trattavano con rispetto, nascendo uno strano legame affettivo tra di loro, in particolare con John, lei non chiamava ma gli Spartan per codici, ma per nome.
        Ci sono anche altri personaggi femminili importanti, come per esempio la figlia della dottoressa Halsey, che sacrificherà la sua vita per salvare il genere umano e aiutare il protagonista.

      • Ultimamente mi trovo sempre più spesso a riflettere su questo problema che hai messo in risalto, quello del confinare le donne nel modello di donna forte, indipendente e capace piuttosto che creare personaggi con le loro sfaccettature, i loro difetti e le loro debolezze, da superare attraverso un cammino di crescita che alla fine faccia brillare la loro luce e la loro forza. Ne hanno discusso in un recente livestream su Twitch i fondatori delle pagine Facebook Johto Fag e I mostri del Plasmacapo, che sono due persone interessanti che ho conosciuto virtualmente grazie al mio compagno. Loro ne hanno parlato in relazione al reboot di Ducktales, ma è un fenomeno che sta diventando sempre più diffuso, e il corollario è che l’unico ostacolo che sembra caratterizzare le storie dei personaggi femminili è una specie di curva di Gauss che sale con la lotta per respingere la femminilità e diventare forti, e scende con l’accettazione dei propri sentimenti, l’apertura del proprio cuore ai legami. Questo avviene perché da una parte non si vuole rappresentare le donne come meno capaci degli uomini, ma dall’altra siamo ancora legati a una visione della femminilità che considera come vulnerabilità l’essere sensibili ed emotive. Così abbiamo guerriere dure, fredde, che hanno costruito una corazza attorno al loro cuore, come se la forza fosse solo questo. Credo che queste rappresentazioni appiattite su un modello che rischia di essere altrettanto povero della damigella in pericolo siano solo dovute al fatto che autori mediocri si confrontano con una visione mainstream e banalizzata del femminismo e la infilano “a forza” nelle loro storie, senza cercare di esplorare la complessità della natura umana attraverso i loro personaggi (un’impresa che, riconosco, richiede amore per i personaggi, sensibilità e talento narrativo in misure consistenti).

  5. Non tutte le persone sono bravi a costruire dei buoni personaggi, sopratutto per creare dei buoni personaggi oltre ad avere del talento, serve molto impegno, e molto autori preferiscono evitare per risparmiare tempo e fatica, magari sforzandosi di farlo solo per il/la protagonista.
    Poi ci sono determinati tipi di personaggi, che sono quelli classici, e quindi è più facili farli, come appunto o un personaggio debole o come uno forte, uno dei pochi esempi che mi viene di via di mezzo, abbastanza mainstrem, e il gigante buono, ovvero un personaggio alto e grosso, molto forte, ma dal cuore tenero.
    Per capirci fare un personaggio come All Might, non è affatto semplice, è richiede un certo impegno e dedizione, idem per Nana Shimura, c’è un film dove si mostra appunto la giovinezza di All Might, e c’è pure Nana.

    • I personaggi di My Hero Academia sono meravigliosi, quella serie è scritta benissimo e io vedo l’impegno nel rendere densi e significativi tutti i personaggi nei loro momenti cruciali, le tensioni, le motivazioni, tutte le lotte interiori. Ho appena visto l’ultimo episodio centrato sulla figura di Endeavor, che viene portato ai limiti di ogni fibra del suo essere, mosso dall’orgoglio ma anche dal peso della responsabilità, costretto a confrontarsi con la figura di All Might anche ben dopo l’uscita di scena di quest’ultimo, e spinto dalle circostanze a comprendere quello che non aveva mai capito in una vita intera – e per inciso è proprio il fatto di non avere capito cosa significa essere un eroe che lo ha portato a divenire una persona orribile – e a persistere oltre lo stremo per essere all’altezza del suo compito.
      Il fatto che Endeavor sia una persona orribile, ma questo episodio ci mostra i suoi conflitti e il suo sforzo di redenzione in modo tangibile, è un tributo all’abilità di scrittura che sta dietro My Hero Academia, da spellarsi le mani ad applaudire.

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