Representation: Cultural Representations and Signifying Practices, di Stuart Hall (parte 6)

È trascorso parecchio tempo dall’ultima puntata di questa serie, che consiste in una trattazione sistematica del saggio Representation: Cultural Representations and Signifying Practices (1997), a cura di Stuart Hall. Mi scuso per l’assenza, ma la vita (e, in questo caso, gli esami) tende a mettersi spesso in mezzo ai piani per un aggiornamento regolare degli spazi online, soprattutto per coloro come me per cui un blog è un passatempo e non una parte importante della presentazione di sé professionale. In ogni caso, eravamo rimasti alla trattazione dell’approccio semiotico al linguaggio e, per estensione, al costruzionismo sociale, avviato dalla distinzione fra langue e parole che dobbiamo a Ferdinand de Saussure, che ha posto il focus sull’interpretazione come operazione necessaria per comprendere i significati, che si danno solo all’interno dei codici linguistici e culturali, i quali quindi non hanno il potere di cristallizzare un unico significato immutabile, ma sono sistemi aperti al cambiamento. Abbiamo inoltre accennato a come Clifford Geertz ha fondato il suo concetto di cultura – il più influente nelle scienze sociali contemporanei – proprio sull’idea che la cultura sia un insieme di testi scritti attraverso le azioni sociali e interpretabili attraverso l’interpretazione che gli attori sociali fanno dei significati che circolano nella loro cultura, significati sulla base dei quali essi agiscono e comprendono la realtà.

Oggi sviluppiamo il ragionamento a partire da questo punto. “Nell’approccio semiotico” – spiega Stuart Hall – “non solo le parole e le immagini, ma anche gli oggetti stessi possono fungere da significanti nella produzione di significato”. L’esempio che l’autore propone è quello dei dress code, per cui certe combinazioni di vestiti sono state associate a certi significati che noi siamo in grado di interpretare nel momento in cui li vediamo indossati. Per esempio, giacca e cravatta rappresentano formalità, professionalità, autorevolezza e sobrietà su un uomo; su una donna, rappresentano eleganza androgina e in un certo una presa di posizione nei confronti dei ruoli di genere che tuttavia non è ‘urlata’, ma è come uno svolazzo su una presentazione di sé che resta all’interno dei codici che giacca e cravatta trasmettono se indossate dagli uomini. Anfibi e giacca di pelle sono sempre più spesso associati all’idea di una femminilità combattiva, grintosa, da guerriera, e così via. Nei termini della semiotica, i vestiti sono significanti e i concetti (formalità, femminilità combattiva, eleganza) significati che essi trasmettono per il tramite dei codici (culturalmente definiti) della moda, che “convertono i vestiti in segni, che possono poi essere letti come un linguaggio. Nel linguaggio della moda, i significanti sono organizzati in certe sequenze, in certe relazioni reciproche. Le relazioni possono essere di somiglianza – alcuni capi ‘vanno insieme’ (ad esempio, scarpe casual con i jeans). Anche le differenze sono messe in risalto – non si porta la cintura di pelle con i capi da sera. Alcuni segni in effetti creano significato sfruttando la ‘differenza’: ad esempio, anfibi Doc Martens con una lunga gonna fluttuante. Questi capi di abbigliamento ‘dicono qualcosa’ – trasmettono un significato. Naturalmente, non tutti leggono la moda nello stesso modo. Ci sono differenze di genere, età, classe sociale ed etnia. Ma tutti coloro che condividono lo stesso codice della moda interpreteranno i segni più o meno allo stesso modo”, spiega Stuart Hall. Per interpretare il codice della moda, servono di nuovo i due sistemi di rappresentazione di cui abbiamo parlato: una mappa concettuale che ci permette di avere il concetto di ‘jeans’ o di ‘anfibi’ per designare uno specifico tipo di pantalone o di scarpa e le parole per dirlo, da una parte, e un codice culturale condiviso che associa ‘formalità, ‘eleganza’ a un abito da sera, ‘stile casual’ ai jeans, ‘stile rock’ agli anfibi e che rende i jeans o gli anfibi dei segni.

Roland Barthes ha definito denotazione il primo livello, quello in cui passiamo da un oggetto a un concetto a una parola e otteniamo i nostri jeans, all’interno di un codice linguistico (culturale) in cui io posso essere sicura che voi che leggete visualizzerete nella vostra testa un paio di pantaloni che, anche se non uguali a quelli che visualizzo io, appartengono alla stessa categoria; connotazione invece è il secondo livello, in cui i jeans diventano il segno dello stile informale all’interno di una classificazione concettuale convenzionale che li pone in relazione con campi semantici più ampi, con nozioni culturali come quella di ‘informalità’, entrando quindi a far parte di un codice più vasto e meno univoco. Ci può essere un consenso culturale più vasto su cosa la parola jeans designa piuttosto che su cosa i jeans rappresentano: lo spazio per elaborare significati per l’indossare i jeans e per interpretare ciò che gli altri trasmettono indossandoli è sempre più ampio, individualizzato, perché qui stiamo “iniziando a interpretare i segni completi nei termini dei più vasti regni dell’ideologia sociale – le credenze generali, i framework concettuali e i sistemi di valore della società” e a porre in relazione i jeans con la cultura, la conoscenza, la storia, e in questo modo “il mondo ambientale della cultura invade il sistema di rappresentazione” e rende il gioco di interpretazione complesso e non univoco.

L’analisi semiotica non può stabilire un’interpretazione univoca, definitiva e incontestabile. Lo slittamento di significato è parte del gioco, è parte del funzionamento del linguaggio e dei codici culturali e linguistici che mediano la relazione fra linguaggio e significati. Tuttavia, l’analisi ha validità se è “in grado di delineare precisamente i differenti passaggi attraverso cui il significato più ampio è prodotto”, spiega Hall. Il primo passaggio consiste nel mostrare come il significante e il significato formano un segno e qual è il messaggio che quel segno trasporta; nel secondo passaggio, il messaggio del segno diventa un significante ed è posto in relazione con un set di significati più estesi attinti dalla cultura in cui il segno sta dicendo quello che dice. In questo secondo livello di analisi, i messaggi o significati sono più elaborati e hanno una cornice ideologica, nel senso che provengono dalle idee che circolano nella cultura di una società e che in effetti circolano ‘attaccate’ a questi segni-divenuti-significati.

È grazie al contributo di Barthes che l’analisi semiotica è passata dal focalizzarsi su “come le singole parole fungono da segni nel linguaggio [all’] applicazione del modello linguistico a un set molto più ampio di pratiche culturali”, spiega Hall e in questo ha acquisito un carattere più interpretativo, in quanto il significato e la rappresentazione appartengono alla sfera culturale, nella quale agiscono individui che hanno una loro agency nell’interpretare e rielaborare significati. Un campo di analisi particolarmente fertile è stato quello che ha applicato l’approccio semiotico allo studio del modo in cui le rappresentazioni visuali trasmettono significato.

“Nell’approccio semiotico” – spiega Hall – “la rappresentazione era intesa sulla base del modo in cui le parole fungevano da segni all’interno del linguaggio. Ma […] in una cultura, il significato spesso dipende da unità di analisi più ampie – narrazioni, affermazioni, gruppi di immagini, interi discorsi che operano attraversando una varietà di testi, aree di conoscenza circa una materia che hanno acquisito un’autorità diffusa”. Il passaggio dall’interpretazione ‘ristretta’ della semiotica di Saussure, che riguardava il funzionamento formale del linguaggio, a quella più ‘ampia’ di Barthes, che riguardava interi prodotti culturali visuali, ha permesso all’approccio semiotico di avvicinarsi al mettere in relazione il testo con i concetti che circolano nel senso comune, nella cultura in senso ampio: quelli che Foucault chiamerà discorsi e formazioni discorsive. 

Da qui possiamo introdurre l’approccio detto appunto discorsivo. Esso considera la rappresentazione in quanto fonte di produzione di conoscenza sociale, cioè come un sistema aperto strettamente connesso con le pratiche sociali e con la questione del potere. In questo contesto, il potere riguarda la capacità di produrre discorsi che acquisiscano carattere di verità e di autorevolezza: l’esempio che fa Hall è del modo in cui i medici uomini avevano, nel tardo XIX secolo, il potere di produrre un discorso sull’isteria che sovrastava completamente ogni tentativo delle pazienti di comprendere e articolare la propria esperienza nei propri termini. Un discorso delle donne sui propri corpi sessuati articolato attraverso categorie diverse da quelle normative di una scienza medica patriarcale sarà possibile solo con il femminismo degli anni ’70, che elaborerà la pratica dell’autocoscienza per dare alle donne uno spazio per comprendere sé stesse e parlare delle proprie esperienze e del proprio sentire legato alla corporeità e all’essere donna proprio per poter creare le parole con cui pensare. Il fondatore di questo approccio è Michel Foucault, il cui interesse riguarda la produzione della conoscenza attraverso i discorsi, ovvero “come gli esseri umani comprendono sé stessi nella nostra cultura e come la nostra conoscenza del sociale, dell’individuo in quanto corporeità e dei significati condivisi viene prodotta nei differenti periodi storici” e quindi come le relazioni di potere plasmano discorsi che assurgono allo status di conoscenza vera e autorevole. Foucault affermò: “La storia che ci sostiene e ci determina ha la forma di una guerra piuttosto che quella di un linguaggio: relazioni di potere, non relazioni di significato”. Per Foucault, il discorso riguarda le regole e le pratiche sottese alle affermazioni che forniscono un linguaggio per parlare di qualcosa, ovvero per rappresentare la conoscenza di quella cosa: le forme della produzione di conoscenza attraverso il linguaggio. “Ma dato che ogni pratica sociale comporta il significato, e che i significati plasmano e influenzano ciò che facciamo […] tutte le pratiche hanno un aspetto discorsivo”, completa Hall. “Il discorso, secondo Foucault, costruisce l’argomento. Definisce e produce gli oggetti della nostra conoscenza. Governa il modo in cui si può parlare e ragionare in modo significativo di un argomento. Influenza anche come le idee sono tradotte in pratica e usate per regolare la condotta altrui. Così come un discorso ‘regola l’ammissibilità’ di certi modi di parlare di un argomento, definendo un modo di parlare, scrivere o comportarsi accettabile e intelligibile, così esso, per definizione ‘regola l’esclusione’, limita e restringe altri modi di parlare, di comportarsi in relazione all’argomento o alla costruzione di conoscenza attorno a esso”, spiega Hall.

Un discorso definisce il modo di pensare o lo stato della conoscenza di un certo momento storico e può essere rinvenuto in una molteplicità di testi, forme di condotta e istituzioni sociali. Un insieme di eventi discorsivi che si riferiscono allo stesso oggetto e hanno uno stile e una strategia comuni costituisce una formazione discorsiva. Il significato e le pratiche che hanno significato sono quindi prodotti all’interno dei discorsi, e non può esistere significato al di fuori del discorso. Per espandere questo punto, Hall si rivolge a Ernesto Laclau e Chantal Mouffe, che scrivono: “ogni configurazione sociale è significativa” e illustrano questo fatto con un esempio: calciare un oggetto sferico per strada o calciare un pallone durante una partita di calcio non sono la stessa azione, perché la seconda è inscritta in un sistema di relazioni – socialmente costruite – che rendono la palla un pallone da calcio, la situazione una partita, lo sport che si sta giocando il calcio: “Il fatto che un pallone da calcio sia un pallone da calcio solo fintantoché è integrato all’interno di un sistema di regole socialmente costruite non significa che esso smetta di esistere come oggetto fisico”, ma naturalmente sono solo attribuzioni sociali che spiegano che quel tipo di palla è un pallone da calcio, che quella è una partita e non un allenamento, che fanno esistere il calcio come sport definito da una serie di regole. Il contesto dell’azione è definito dalla stratificazione di significati che la rendono intelligibile come un’azione di una partita di uno sport. Un altro esempio fatto dagli autori è che la stessa sfera di pietra acquisisce significati diversi se è una palla di cannone o una scultura. Di fatto sono le pratiche – che discendono dai discorsi – a costruire un’interpretazione di quella sfera di pietra, a porla in un contesto di significati. E allo stesso modo in cui il discorso costruisce la situazione ‘partita di calcio’, così costruisce la posizione di soggetto degli attori sociali all’interno della situazione: “è lo stesso sistema di regole che rende un oggetto sferico una palla da calcio che mi costruisce come un calciatore”. Naturalmente questa prospettiva solleva alcune domande: “Anche se accettiamo che il significato di un’azione dipenda da una configurazione discorsiva, l’azione stessa non è qualcosa di diverso dal suo significato?”. Per rispondere a questa domanda, gli autori partono da una distinzione linguistica, quella tra semantica (ciò che riguarda il significato delle parole), sintassi (ciò che riguarda l’ordine delle parole e le conseguenze che esso produce sul significato) e pragmatica (ciò che riguarda il modo in cui una parola è utilizzata nel concreto in certi contesti discorsivi) e ci invitano a riflettere su quanto nettamente il significato di una parola può essere separato dal modo in cui essa viene utilizzata. È davvero possibile? La risposta è no: il significato di una parola dipende dal contesto. Hanna Fenichel Pitkin ha scritto: “il significato e l’uso sono intimamente, inestricabilmente legati, perché l’uso aiuta a definire il significato. Il significato è appreso, e plasmato, dalle istanze di utilizzo; quindi anche il suo apprendimento e la sua configurazione dipendono dalla pragmatica. Il significato semantico è estrapolato da casi concreti di utilizzo di una parola inclusi tutti i numerosi e variegati giochi linguistici che si giocano con essa; quindi il significato è principalmente il prodotto della pragmatica” .

Da questo discende che ogni identità e ogni oggetto discorsivo sono costituiti nel contesto di un’azione. Anche i fatti naturali, gli oggetti di studio delle scienze dure come la fisica, la biologia o la geologia, sono al contempo fatti discorsivi, che ci sono intelligibili grazie a categorie e concetti che abbiamo coniato per designare aspetti della realtà che le parole isolano e fanno esistere: là fuori non esiste ‘la natura’, che è un concetto che si è sviluppato attraverso una costruzione sociale nel corso della Storia. Discorsivo non significa linguistico, significa che assume significato all’interno del discorso: “chiamare qualcosa un oggetto naturale è un modo di concepirlo che dipende da un sistema di classificazione. Di nuovo, questo non getta dubbi sul fatto che l’entità che chiamiamo pietra esiste, nel senso di essere presente qui e ora, in modo indipendente dalla mia volontà; ciononostante il fatto che sia una pietra dipende da un modo di classificare gli oggetti che è storico e contingente. Se non ci fossero esseri umani sul pianeta, quegli oggetti che chiamiamo pietre esisterebbero comunque, ma non sarebbero ‘pietre’ perché non ci sarebbero né la mineralogia né il linguaggio in grado di classificarli e renderli distinti da altri oggetti. […] Non c’è alcun fatto che permetta al suo significato di essere letto in modo trasparente”. In altre parole, “gli oggetti fisici esistono, ma non hanno alcun significato fisso [intrinseco]: essi assumono significato e diventano oggetti di conoscenza all’interno del discorso“, come chiarisce Hall, e ciò rappresenta il cuore di una teoria costruzionista del significato e della rappresentazione: “dato che possiamo avere una conoscenza delle cose solo se esse hanno un significato, è il discorso – non le cose in sé – che produce conoscenza. Argomenti come la follia, la punizione e la sessualità hanno un’esistenza dotata di significato solo all’interno dei discorsi che li riguardano”.

Per studiare questi argomenti dovremo quindi:

  • produrre delle affermazioni che ci offrano una conoscenza di essi, descrivere “le regole che prescrivono certi modi di parlare di questi argomenti e ne escludono altri – che governano ciò che è ‘dicibile’ o ‘pensabile'” in un dato momento storico su questi argomenti;
  • descrivere “i soggetti che in qualche modo personificano il discorso – il folle, la donna isterica, il criminale, il deviante, il pervertito – con gli attributi che ci aspettiamo che possiedano, dato il modo in cui la conoscenza di quell’argomento era costruita in quel momento storico”;
  • illustrare come quella conoscenza acquisisca autorità, cioè il senso di incarnare la verità delle cose in quel momento storico;
  • descrivere le pratiche con cui le istituzioni trattavano quei soggetti (come i trattamenti medici per i folli, le pratiche punitive per i colpevoli, il disciplinamento morale dei pervertiti) la cui condotta era regolata e organizzata a seconda delle idee circolanti nel discorso su chi essi fossero, perché fossero così e come andassero trattati;
  • riconoscere le formazioni discorsive che si contrappongono al discorso dominante e contengono in sé i semi per soppiantarlo, producendo nuove concezioni di follia, punizione o sessualità, che potranno acquisire l’autorità di essere considerate ‘vere’ e di regolare quindi le pratiche sociali in modi diversi da quelli prodotti dal discorso precedentemente dominante.

Per Foucault, ogni analisi del discorso, della rappresentazione, della conoscenza e della ‘verità’ deve essere radicata in uno specifico contesto storico: “in ogni periodo storico, il discorso ha prodotto forme di conoscenza, oggetti, soggetti e pratiche conoscitive che differivano radicalmente di periodo in periodo, senza alcuna continuità necessaria fra di esse”, chiarisce Hall. Prendiamo l’esempio della follia: “È solo all’interno di una formazione discorsiva definita che l’oggetto ‘follia’ è potuto apparire come un costrutto significativo o intelligibile. Esso era costituito da tutto ciò che veniva detto, da tutte le affermazioni che lo nominavano, lo articolavano, lo descrivevano, lo spiegavano, ne ricostruivano lo sviluppo, indicavano i suoi vari correlati, lo giudicavano, e forse anche gli davano parola articolando, in suo nome, discorsi che dovevano essere compresi come suoi propri […]. Ed è solo dopo che una certa definizione di ‘follia’ è stata tradotta in pratica che il soggetto appropriato – ‘il folle’ come è stato definito dalla conoscenza medica e psichiatrica – è potuto venire in essere”, spiega Hall. Con questo non stiamo dicendo che non esistessero persone con delle malattie mentali, ma che la categoria di ‘folle’ con cui comprendere queste persone e trattarle è venuta in essere in un certo momento storico, non è un fatto naturale; altre culture in altre epoche storiche hanno compreso queste persone con altri schemi cognitivi culturali, per esempio pensandole come ‘invasati’, letteralmente vasi in cui la divinità si era riversata e che parlavano la voce del divino; adesso, non pensiamo più che la pazzia sia una patologia mentale in sé, ma che sia il sintomo o la manifestazione di patologie psichiatriche o neurologiche precise, e non pensiamo più i pazzi come dei devianti pericolosi per la società e ripugnanti, da rinchiudere, ma come delle persone in una condizione di fragilità, da aiutare e curare. Questo è un discorso sulla follia che in Italia deve molto al lavoro di Franco Basaglia, un discorso di cui si può dire che si è posto come alternativa al modo precedente di concepire i pazzi e nel tempo lo ha soppiantato, producendo dei cambiamenti nelle pratiche e nelle leggi: il modo in cui pensiamo queste persone è cambiato con l’insorgere di un nuovo discorso, e dentro questo discorso si sono prodotti cambiamenti nelle pratiche e nelle norme.

Nella prossima puntata, proseguiremo il viaggio nel pensiero di Foucault seguendo l’itinerario delineato da Stuart Hall. Spero che lo troverete interessante anche se non è proprio semplice da comprendere. Nel caso, i commenti sono aperti: chiedete pure.

11 pensieri su “Representation: Cultural Representations and Signifying Practices, di Stuart Hall (parte 6)

  1. Ciao, articoli sempre molto interessanti, allora io penso che talvolta sia difficile capire questi concetti perchè in un certo senso li usiamo inconsciamente ogni giorno, si può dire che per certi versi è come camminare,saltare e respirare.
    Come fai notare con l’esempio dei sassi, gli oggetti in se non hanno nome, ne che siano naturali ne che siano artificiali, sono stati gli esseri umani ha dare il nome a ogni cosa, e una cosa arbitraria, perfino il nome del nostro pianeta ovvero Terra, dato che chiamiamo cosi anche la superficie, qualcuno per esempio aveva proposto il nome Gaia.
    Poi per capire l’oggi e quindi la nostra società, le nostre leggi e i nostri valori bisogna studiare il passato, da quello che ci dicono gli studiosi, gli esseri umani vivono su questo pianeta da oltre 300.000 anni, è chiaro che in cosi tanto tempo è cambiato tutto, e noi siamo il risultato di questo processo, ovviamente i valori e la società dipendono dal luogo da dove viviamo, ed essi prima o poi inevitabilmente cambiano, il cambiamento è inevitabile, la storia lo dimostra, anche se certi fenomeni, sia essi positivi, mentre altri negativi, sembrano tornare con una certa ciclicità, forse perchè gli esseri umani anche se cambiano nel tempo, alcune cose rimangono più o meno immutate o comunque simili.
    La storia ci insegna come c’è bisogno di delle regole, e come sia inevitabile che nascono dei modelli positivi, e dei modelli negativi, quello che forse noi dovremmo fare come società, prendendo appunto dalla storia, e anche dagli studiosi su cui stai facendo questi post è che, determinati comportamenti, se non rappresentano un pericolo o una minaccia per la società e per le persone, possano essere permessi anche se non sono visti moralmente di buon occhio dalla società, lasciando una certa libertà all’individuo nel limite del possibile, il punto e non danneggiare o minacciare le altre persone e la società.
    Ovviamente questo è un concetto generale, poi bisogna vedere caso per caso, ma penso che sia un buon punto di partenza, premesso sempre che io parlo con un punto di vista progressista, e chiaro che un conservatore la penserà probabilmente in maniera completamente diversa.

    • Faccio sempre più fatica a capire i conservatori, più cose studio, più cose sento di avvicinarmi a comprendere nella loro complessità. E’ chiaro che la nostra società così com’è non va bene, e dai conservatori che leggo è chiaro che anche per loro non va bene: quello che non è chiaro è perché pensino che i problemi discendono da noi progressisti, che li abbiamo creati noi. Io credo che noi progressisti abbiamo solo messo in luce i problemi, e tentato di offrire soluzioni che sono ancora in corso di elaborazione: nessuna soluzione progressista ai problemi sociali è stata realizzata in maniera così compiuta da poter dire “ha funzionato” oppure “non ha funzionato”. Mi sembra invece che i conservatori abbiano una sola soluzione, tornare indietro a tempi meno complessi dove la società era più omogenea e tante istanze non si erano ancora presentate perché le forze sociali strutturatrici (come la religione) premevano per tenerle rinchiuse dentro il vaso di Pandora. Il che non sembra un granché come soluzione: la globalizzazione non è reversibile e non può essere contenuta con il protezionismo doganale perché ormai l’economia è un interscambio globale; le lotte per i diritti e il riconoscimento da parte di donne, minoranze etniche e persone LGBT non tornerà indietro, e anche se lo facesse una società fondata sull’ineguaglianza può forse funzionare, ma non può essere giusta. Insomma, io veramente credo che molte persone conservatrici abbiano iniziato, per via di media di destra e politici di destra sempre più estremi, ad abitare un mondo di significati che non è più lo stesso in cui abitiamo noi (e qui Stuart Hall ci aiuta a capire la profondità e le implicazioni di questa affermazione) e di conseguenza a porsi nella conversazione collettiva da un punto di vista inconciliabile e incomprensibile rispetto al nostro, al punto che la conversazione a volte sembra impossibile, sembra proprio di non vivere nella stessa realtà, ma di vivere in un mondo in cui il Covid-19 è finito a giugno, in cui stiamo venendo letteralmente invasi da una marea umana (roba da dover combattere con gli immigrati per il pane a colpi di baionetta, sembrerebbe), in cui gli islamici sono intenzionati a distruggere la nostra civiltà, in cui la drammatica situazione delle persone di colore negli USA è ridotta a sportivi neri che frignano del razzismo sulle loro fuoriserie (questa l’ho letta ieri, una perla). Se ti sposti ancora più a destra, il cambiamento climatico non esiste, l’ideologia gender ci vuole rendere tutti gay o trans, il Covid-19 non è mai esistito oppure è una cospirazione del governo, ed è in atto una sostituzione etnica di cui le donne italiane sono complici perché non vogliono fare figli (‘ste stronze, aggiungerei) e la cultura laica e il relativismo culturale stanno distruggendo le radici cristiane dell’Europa per renderci intenzionalmente vulnerabili alla conquista che l’Islam sta tramando usando gli immigrati come cavallo di Troia.
      Io non ce la posso fare.

    • Ciao, rispondo velocemente a questo commento per dirti che non sono morta, ma sono di nuovo sopraffatta dalle cose da fare. Ritorno al blog e ti rispondo con calma dopo il 7 di settembre, grazie e scusami

  2. Ciao, concordo con te, siamo tutti d’accordo che la società cosi com’è non va bene e che vada cambiata, il punto e come cambiarla, noi che siamo progressisti, vogliamo cambiarla in un certo modo, i conservatori come dice il nome stesso, vogliono conservarla nel senso di tornare indietro, dimenticando quanti elementi negativi c’erano nel passato, elementi che purtroppo in alcuni casi rimangono tutt’ora.
    Ora posso capire la normale differenza di idee economiche tra destra e sinistra, questo è fattuale ed è giusto che sia cosi, ma su alcuni valori ormai forse si potrebbe trovare un accordo, per esempio i conservatori dovrebbero finalmente essere più aperti per quanto i diritti delle donne e della comunità LGBT, oltretutto dare questi diritti a queste persone, non toglie niente a loro, essi con le loro famiglie possono continuare a fare i conservatori, e rispettare i valori che loro considerano tradizionali, sono i conservatori a voler imporre alle altre persone come vivere, mentre i progressisti permettono la scelta, infatti in america quelli pro-aborto, si chiamano pro-choice, ovvero pro-scelta, non obbligherebbero mai una persona ad abortire se non vuole, tralasciando che qualcuno nella destra cosidetta pro-life, vorrebbe sterilizzare certe comunità…
    Si certi discorsi dei conservatori sono stati assurdi, basti pensare a come è stata gestita, e viene gestita tutt’ora, la vicenda Covid-19 in USA e Brasile, e menomale che in Italia c’è stato questo governo e non qualcos’altro…
    Sul discorso immigrazione, premesso che è ovviamente un tema molto complesso, la destra parla spesso per slogan ed evocando paura o infondate o comunque assolutamente esagerate, intanto trovo stupido fare un post su internet, o una trasmissione televisiva, per ogni singola nave che sbarca, l’Italia non si trova più nel periodo 2011-2015, quei tempi sono passati, i numeri sono assolutamente bassi, quindi non c’è nessuna invasione o emergenza su questo tema.
    Certo ci sono dei problemi e delle cose su cui discutere ma essi non propongono soluzioni credibili e realizzabili, sul discorso Islam, non si può staccare una fede dal suo paese, cioè un islamico della Nigeria è ovviamente molto diverso da un Islamico libanese o russo per dire, senza considerare che se non erro, solo 1/3 degli africani sono islamici.
    Sulla questione degli afroamericani negli USA, premesso che è una cosa estremamente complessa, che è difficile parlarne e capirla se non si sta negli USA(tralasciando che molte delle statue confederate, sono state fatte da suprematisti bianchi, in epoche recente, quando i neri lottavano per i loro diritti, quindi non sono statue storiche o artistiche, ma statue politiche) e penso che farla diventare un discorso a mere statue e simboli sia stupido e riduttivo, dato che quello ha un ruolo marginale, li hanno un grave problema di razzismo, che non riguarda solo i poliziotti ma una parte considerevole della popolazione, come dimostrano fin troppi fatti di cronaca.
    Lo stesso presidente Obama, ha raccontato di avere subito atto di razzismo, come essere profilato per la razza nei grandi magazzini, ovvero quelli della sicurezza di un negozio, ti seguono credendo che tu sia sospettoso, non per quello che fai o come ti comporti, ma solo perchè sei neri e per come sei vestito.
    Stendiamo un velo pietoso sulla ideologia gender, di cui a questo punto anch’io dovrei essere complice essendo bisessuale, anzi per loro dovrei essere il peggio, dato che queste persone pensano che esistono solo gli etero e i gay, oltretutto le persone transessuali vengono discriminati da tutti, basti pensare alla vicenda di cronaca recente successa nel napoletano, una giovane donna uccisa dal fratello perchè lei stava con un uomo transessuale (Ciro), e il tg1 che chiama questa persona trans(uomo transessuale) Cira, inventandosi un nome che non esiste, che poi voglio dire, tutti conosciamo la ex-deputata Vladimir Luxuria, ci dovremmo arrivare che cosi come ci sono le donne trans ci sono gli uomini trans. Non capisco poi, perchè cosi tante donne che si professano femministe, e per giunta arcilesbica, contro le persone Trans, mah…
    Qualcuno dovrebbe spiegare ai nazionalisti italiani, che questo paese quando è nato, dopo pochi anni fece la Breccia su Porta Pia, con cui l’Italia ottenne la sua capitale, e fino ai Patti Lateranensi, lo stato Italiano e il Vaticano erano in pessimi rapporti, e molti si dimenticano che all’inizio Mussolini, non era una persona credente, solo verso la fine del regime, conio il famoso Dio-Patria-Famiglia, senza considerare tutta la vicenda della spada dell’Islam, quindi bizzarro che i fascisti manco sanno la storia del loro leader…
    Se c’è una cosa su cui noi ci possiamo sentire “superiori”, o comunque difendere la nostra civiltà, per quanto riguarda i diritti femminili, e il fatto che le donne possono(o comunque dovrebbero) poter decidere liberamente cosa fare della propria vita, ovviamente rispettando le leggi come vale per gli uomini e per tutti gli altri, di conseguenza è una libera scelta della donna, e del suo compagno/a, quello di avere o non avere figli, e quanti averne, e con chi averne.
    Quindi una donna ha il pieno diritto di avere figli con un uomo straniero per dire, una donna ha il pieno diritto di fare o non fare sesso con chi preferiste, quindi dicendo per assurdo/provocazione, se una donna volesse avere solo rapporti sessuali con stranieri e/o persone nere, è un suo diritto, il corpo è suo logicamente, e questo non è un buon motivo per insultarla o additarla di qualcosa, chiudo con una battuta per sdrammatizzare, ultimamente la pornografia interrazziale sta avendo un boom, sopratutto quella dove ci sono uomini neri e donne bianche, immagino che i conservatori e quelli di destra estrema, considereranno pure questo propaganda immigrazionista, per ammaliare le “nostre” donne, per convincerle ad avere rapporti con gli uomini neri?

    • Sulla questione delle femministe “contro” le persone trans ci sarebbe molto da dire, perché è un esempio di come un’istanza legittima sta venendo distorta per creare una divisione, una frattura, dove dovrebbe esserci un dialogo. Come femminista sto seguendo la questione e leggendo da entrambe le parti, e mi rendo conto che ci sono punti validi da entrambi i lati di questa frattura che mi preoccupa davvero tanto, perché si sta cercando di dipingere delle questioni femministe valide con toni foschi, applicando a mani basse argomenti dell’uomo di paglia. Ti faccio solo l’esempio di JK Rowling: io ho letto il saggio che ha scritto, ed non è affatto transfobico, è un testo pieno di dolore e sensibilità in cui Rowling esprime delle preoccupazioni che condivido anch’io, ma è stata chiamata “la miliardaria transfobica” come se fosse un mostro e ha subito un’incessante serie di attacchi che ricadono pienamente nel cyberbullismo. Questo non aiuta a capirsi e a dialogare, ma se lo si facesse si capirebbe che fra quelle che vengono chiamate “TERF” (peraltro la parola è un insulto ed esprime un concetto falso, perché le femministe radicali non sono trans-escludenti) e le/gli attiviste/i trans c’è più vicinanza di quanto sembrerebbe da questo clima tossico. E io mi domando: chi ci guadagna dal metterci l’una contro l’altra, dal farci lottare fra di noi quando c’è ancora così tanto lavoro da fare che richiederebbe unità, solidarietà e disposizione all’ascolto? Chi ci guadagna dallo screditare istanze femministe dipingendole come transfobiche, così che anche le femministe perdano fiducia nelle/negli attiviste/trans e l’incomunicabilità sostituisca l’alleanza?
      Mi ferisce molto parlare di queste cose e in un certo senso anch’io ho paura che se mi ponessi in mezzo a questo casino subirei una shitstorm che non ho la forza mentale o il tempo di gestire, specie adesso che sono riprese le lezioni e ho bisogno di tenermi sul pezzo per portare avanti questo semestre che sarà impegnativo.
      Per il resto, il discorso che hai fatto ha tanti aspetti diversi e non pretendo di dipanarli tutti in una sola risposta, sarebbe lunghissima e dispersiva, quindi chiudo qui questo commento, in linea generale concordo con le tue osservazioni, ma come dicevo sopra i conservatori più li sento parlare meno li capisco…

  3. Se vuoi parlarmi di alcune delle tue considerazioni su questo tema, ne sarei molto curioso, se non ti va e non te la senti, non ti preoccupare, buona fortuna con l’università 🙂

    • E’ un tema molto lungo, ma ho bisogno di un momento più tranquillo per essere sicura di potergli dare una forma ‘pubblica’ dove i miei pensieri abbiano abbastanza ordine e chiarezza. Ma lo farò, sono sicura.

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