Etichette

Il mio album di Facebook che raccoglie immagini sul femminismo, che ho dovuto ripubblicare sotto il titolo di “The mere truth” (la verità di base, la semplice verità, all’incirca) dopo che non risultava più disponibile né a me né ai miei amici – è stato cancellato dagli amministratori senza che io ne ricevessi comunicazione? Una cosa del genere è possibile? – si intitolava appunto “Femminismo” e aveva come sottotitolo una frase che è diventata uno dei miei motti:

Prima di appiccicare un’etichetta su qualcuno, assicurati almeno di leggerla.

Se consideriamo “femminista” un concetto negativo, dovremmo prima documentarci su cosa sia il femminismo e come intendano questo concetto coloro che si definiscono tali. Già Socrate aveva evidenziato l’importanza di definire il concetto in modo universale, o perlomeno in modo che entrambi gli interlocutori si trovino d’accordo, allo scopo di trovare verità comuni all’umanità, superando così il relativismo totale di sofisti come Gorgia. Ho iniziato ad occuparmi delle etichette, intese come definizioni stereotipate che si “appiccicano” sulle persone, proprio partendo dal fatto che io stessa mi definisco come femminista, per rivendicare il concetto oltre la classificazione. Io sono femminista. Prima di giudicarmi, documentati su cosa sia il femminismo, ok? Non sono una strega che odia gli uomini e va in giro con una cresta da punk a bruciare reggiseni (per quanto le creste da punk mi piacciano :P). Sono semplicemente una ragazza che crede in alcuni principi.

Tuttavia, le classificazioni stereotipate permangono nella nostra mentalità quotidiana, sono qualcosa di tranquillizzante: se da una parte danno un senso di appartenenza ad un gruppo (i metallari contro i truzzi, i punk contro gli emo…), dall’altra ti costringono all’interno di un ruolo, di un personaggio. Una delle classificazioni più ovvie, a cui siamo totalmente assuefatti, è quella della troietta. Ci penso perché una mia amica, l’altro giorno, mi ha chiesto se ritenevo che si potesse definirla come tale in virtù di alcune esperienze fatte a 13 anni con un suo amico. Le ho risposto che né il look, né le esperienze, né il numero di ragazzi che una ragazza ha avuto possono essere ragioni valide per affibbiarle un’etichetta del genere. Il desiderio è un’emozione naturale anche per le ragazze, nessuna di noi dovrebbe mai sentirsi in colpa perché lo prova. Non siamo angeli!

Le ho detto che amare e ricercare il piacere è una cosa giusta, che la sessualità è una parte della nostra vita e della nostra individualità, e che non c’è nessuna ragione per cui una ragazza debba cambiare comportamento solo in virtù del giudizio degli altri, se è consapevole di quello che fa e la sua scelta è stata fatta con coscienza. Penso che sia sbagliato, invece, che una ragazza si senta forzata a fare certe cose solo per compiacere il suo ragazzo, perché così facendo ignora i propri desideri e bisogni, e quindi fa un torto a sé stessa (e non è mai una cosa senza conseguenze, sebbene ci si rifiuti di considerarle), o che abbia molti ragazzi per essere popolare e rispettata, senza provare niente per nessuno di questi. Avere un ragazzo perché è un gadget figo, come la felpa di Abercrombie e le scarpe Hogan, è sbagliato, perché le persone non sono oggetti, e trattarle come tali ferisce i loro sentimenti e le priva di dignità.

Ho chiesto così a diversi miei amici maschi in base a quale criterio si possa giudicare una ragazza come troietta. Be’, le risposte sono sconfortanti luoghi comuni. Hanno evitato accuratamente di citare l’abbigliamento, perché sanno già il mio punto di vista sull’argomento (e non smetterò certo di indossare le gonne a scuola solo perché qualche idiota potrebbe avere la bella idea di classificarmi come troietta senza conoscermi!) e non volevano rischiare di offendermi/iniziare un discorso con me. Ma elementi come “va con tutti” e “quando sta con uno fa tutto subito” (segue gestualità eloquente) risultano fin troppo presenti.

Considerazioni del tipo “se una ragazza è innamorata, e vuole provare piacere, allora questo la rende una troietta?” lasciano le persone semplicemente spiazzate. Non ho osato porre domande che richiedono risposte più complesse, tipo “Perché alle ragazze è negato il diritto di ricevere e pretendere il proprio piacere?”.

Ma è emblematico quanta forza abbia, ancora adesso, la logica delle Kiavi&lukketti, esemplificata in questo post da Libera, una ragazza davvero forte e consapevole. Gli stereotipi hanno la caratteristica di negare la dignità d’individuo alle persone che ne sono vittime. Applicando semplicemente un’etichetta su di esse, l’etichetta acquista vita propria e fagocita l’individuo. Una ragazza bollata come troietta non è più quella ragazza, con le sue motivazioni, i suoi desideri, i suoi sentimenti, è solo una troietta. E come tale viene trattata. Ma che cosa ci si guadagna dalla logica degli stereotipi? Non sarebbe più semplice costruire rapporti umani se invece di generalizzare, etichettare, classificare, considerassimo ognuno per ciò che è, un individuo?

Questa vignetta, con protagonisti diversi meme di Facebook, riassume la logica di cui sto parlando: