Ho avuto il piacere di conoscere Cristina Obber, due anni fa, dopo aver sentito parlare del suo progetto non lo faccio più | un luogo dove raccontare di violenza, di relazioni, di paure e d’amore, quando lei ha molto generosamente accettato di tenere un intervento nella mia scuola durante la cogestione. Intervento che per problemi tecnici abbiamo dovuto comprimere in un’ora, avvisandola all’ultimo minuto. Nonostante la situazione scomoda e imbarazzante, la gentilezza di Cristina e il suo discorso su come la violenza possa annidarsi nelle relazioni sentimentali fra ragazzi, nascosta dietro la gelosia e la protezione, e su come l’antidoto sia nel rispetto, mi hanno colpita molto. Cristina è una di quegli adulti che sanno entrare in contatto con gli adolescenti e trasmettere qualcosa.
Cristina ha conosciuto Amani El Nasif, una giovane donna di origini siriane, che le ha raccontato la storia della sua adolescenza, storia che è diventata “Siria Mon Amour”, un piccolo libro la cui storia comincia quando ad Amani viene detto dai suoi genitori che, per poter essere assunta regolarmente, ha bisogno di tornare in Siria per sistemare dei documenti. Amani è fiduciosa e spensierata di fronte a quella che le sembra una vacanza, cinque giorni prima di poter tornare in Italia, dove la aspetta una grande opportunità, il lavoro, l’indipendenza.
Ma il mondo di Amani le crolla addosso quando scopre di essere destinata a sposare Neief, un cugino che non ha mai visto e per il quale prova un’immediata antipatia dal primo momento, perché la tratta come se lei fosse una sua proprietà, come se avesse dei diritti su di lei. Ed è così: nel rigido sistema patriarcale islamico del villaggio di Al Karatz, dove gli uomini educano le donne e le figlie picchiandole, dove ogni “disobbedienza” femminile diventa un marchio di disonore per gli uomini della sua famiglia, Amani viene bollata come “ulech”, puttana, per la sua ribellione alle molestie di Neief e inizia una lotta disperata per sopravvivere, per non far annullare la propria identità sotto il velo, continuando a leggere l’unico libro in italiano portato per le vacanze, a guardare di nascosto la CNN ed MTV, a pensare in italiano.
La storia di Amani è la storia di una ragazza che perde improvvisamente la sua libertà, ma non solo. E’ la storia di una ragazza tradita dai suoi genitori, in cui le emozioni che nutre verso di loro – la rabbia, l’odio, ma anche la comprensione – sono il tema dominante, insieme al senso di sradicamento e di alienazione e la conseguente, sotterranea, resistenza. Una resistenza che si nutre di rabbia ma anche di amore: l’amore per Andrea, il ragazzo da cui è stata costretta a separarsi, che, lontano e impotente, rappresenta l’unico legame con l’Italia perduta, con una vita che in certi momenti sembra non essere mai esistita. Andrea, che Amani sente al telefono non appena può, bisbigliando per non essere scoperta dai parenti di Al Karatz, Andrea, sconvolto dal dolore, che smette di mangiare per la sofferenza.
“Siria Mon Amour” si legge in un pomeriggio, è un libro che scorre via veloce, le 164 pagine di cui è composto sembrano molte meno leggendo. Ma è un libro denso di sentimenti ed emozioni, che si respirano fra le pagine. Cercatelo in biblioteca, perché è una di quelle storie che ti lasciano dentro qualcosa. Se volete saperne di più, nell’articolo La promessa sposa di 16 anni che ha saputo dire no, Cristina Obber racconta come ha conosciuto Amani e perché ha deciso di raccontare la sua storia.