La mercificazione del corpo maschile (parte 4)

Questo è il post che conclude (per ora) la serie sull’oggettivazione del corpo maschile nei media, iniziata qui (e questo è il post a cui fare riferimento per i criteri su cui sono basati tutti gli altri, al fine di evitare le ripetizioni) e proseguita qui e qui. L’intera serie si basa su materiali iconografici forniti da Alessiox1, che ringrazio ancora. Le immagini di questo post sono, in effetti, meno esplicite e meno deumanizzanti di quelle dei post precedenti, ma hanno in comune il fatto di mostrare degli uomini nel ruolo di oggetti sessuali, in mostra per lo sguardo femminile (o per lo sguardo di altri uomini, come d’altronde suggerisce l’assenza di figure femminili, né rappresentate né a cui si fa riferimento, in alcune di queste immagini).

Il bel ragazzo

Questa immagine rientra nel punto 5 del test di Heldman. Il ragazzo è infatti nudo in mezzo al ghiaccio (il che significa che la sua nudità non è “giustificata” dal contesto, ma esprime solo una valenza sessuale), ha uno sguardo e una posa sensuale, proteso verso lo spettatore per mettere in mostra i muscoli del torso.

Levi's 3

Levi's 2

Levi's 1

Queste immagini rientrano nel punto 2, in quanto raffigurano uomini resi oggetto che sostengono una donna; il fatto che abbiano il corpo rivestito da un body painting che conferisce loro l’aspetto di statue ci aiuta a contestualizzare la loro valenza di oggetti, suggerendo che siano stati “pietrificati” dal potere di seduzione della donna (interpretazione rafforzata dallo slogan, “rule!”, regna!, che richiama per associazione mentale le regine delle fiabe) ed escludendo un’interpretazione in senso BDSM (peraltro, già il tipo di abbigliamento delle donne, lontano dall’estetica BDSM, ci allontanava da questo immaginario).

Urban decay pocket rocket

Urban decay pr

Queste non sono immagini pubblicitarie, ma sono contenute nel prodotto stesso: una serie di lucidalabbra in cui, svitando il tappo, il ragazzo raffigurato vestito su di esso appare in mutande. Ci sono diversi modelli, ma tutti, nella fotografia in cui appaiono in mutande, ricadono nella categoria 5 del test di Heldman, come si vede dal fatto che le caratteristiche considerate sessualmente attraenti (i muscoli, il sedere, il pene) sono poste in risalto.

Lavanderia

In questa immagine è il contesto a determinare il ruolo del ragazzo come oggetto sessuale: si trova al centro della composizione, è raffigurato di spalle, è l’unico personaggio seminudo ed è circondato da personaggi vestiti. L’inquadratura colloca noi, che guardiamo l’immagine, fra i clienti della lavanderia che sono “spettatori” della scena, proprio come la giovane donna sulla sinistra, il cui sguardo va nella stessa direzione del nostro. Sebbene quest’immagine stia ai confini, nel senso che non ricade in nessuno dei sette criteri di Heldman, ritengo comunque plausibile inserirla in questa serie.

Uomini nel cellophane come bistecche

Questa immagine è una delle più smaccate e rientra nel punto 5 (il fatto che gli uomini siano nudi e impacchettati dimostra chiaramente l’intento di mostrarli come principalmente caratterizzati dalla disponibilità sessuale) e nel punto 4 (essi appaiono intercambiabili, non sono la stessa persona, ma non hanno nemmeno caratteristiche che rimandino all’individualità personale; inoltre non possiamo vedere i loro sguardi per via degli occhiali da sole). Il contesto dell’immagine rafforza molto l’oggettivazione: gli uomini sono negli scaffali di un banco frigo, le donne sono le clienti, gli uomini sono nudi, le donne vestite.

Uomo-cibo

Queste immagini, in cui la carica di oggettivazione dei soggetti rappresentati è decisamente molto debole (ma non del tutto assente, ce ne accorgiamo facendo una prova di commutazione mentale, un gender swap, e immaginando che siano due donne ad essere sdraiate in posa sexy, seminude, sulla tavola – anche se in quel caso subentrerebbe l’impatto dello stereotipo della casalinga sexy e la valenza sminuente della “donna in cucina”, inteso come offesa maschilista secondo cui quello è il posto delle donne, il loro ruolo: cucinare ed essere attraenti per gli uomini) rispetto ad altre immagini analizzate in questa serie, e in cui i soggetti risultano più attivi, espressivi e umani, penso possano valere come termine di confronto per una rappresentazione del sexy che non escluda il calore umano, l’individualità, il riconoscimento – nel senso di vedere e percepire un altro individuo di fronte a noi – cioè tutti quegli elementi che marcano la distinzione fra un corpo e una persona.
Ora, io, probabilmente perché sono donna, ma può essere anche una questione di sensibilità personale, provo disagio nelle situazioni in cui il mio corpo viene a scavalcare la mia persona, in cui sono vista come un corpo piuttosto che come una persona. Questo disagio lo definirei, cercando di essere accurata, come un senso di sbagliato, nel senso che quello che provo è una sensazione di allarme, come se la situazione fosse un errore, qualcosa che non deve stare succedendo, ma su cui sono impotente. E’ una sensazione breve, di solito – cerco di andarmene, o di scacciare quella sensazione – ma è tanto reale quanto il fatto di battere sulla tastiera queste parole.

I commenti ai post precedenti di questa serie hanno messo in luce che, almeno per quanto concerne i commentatori, questa sensazione non sembra essere vissuta dagli uomini che osservano l’oggettivazione del corpo maschile, mentre io la rivivo quando vedo immagini oggettificate di donne, specie quando questa oggettivazione ha una carica di umiliazione, degradazione. Non penso che gli aspetti emotivi possano essere svincolati totalmente da un’analisi di questo fenomeno: l’oggettivazione è un problema in quanto produce delle conseguenze, e non trovo sbagliato annoverare fra queste conseguenze il disagio delle persone che la vivono su di sé (so di non essere la sola, ovviamente).

Io non leggo le donne, perché dovrei nasconderlo?

“Il direttore della Libreria Feltrinelli di Bologna, intervistato su Repubblica, dichiara di non leggere quasi nessuna autrice e che non dirà il contrario per apparire politicamente corretto. Be’, bizzarre vanterie del mondo “culturale” di oggi: andare fieri delle proprie lacune”
– Grazia Versani

C’è altro da aggiungere?

libroguerriero

feltrinelli-ravegnanaCaro Direttore della Feltrinelli Ravegnana di Bologna,

la storica Feltrinelli sotto alle Due Torri cui tutti noi bolognesi siamo affezionati, la stessa Feltrinelli dove ho presentato con orgoglio tutti i miei romanzi, la stessa dove ho portato le mie classi per diffondere la lettura (e ricordo che proprio lei ha intrattenuto gli allievi, apprendisti lettori, con discorsi interessanti), dove ho presentato altri colleghi, dove ho acquistato credo – senza esagerare – centinaia di libri da regalare, se si contano gli ultimi vent’anni (la cifra non è iperbolica, tenendo conto che io regalo quasi esclusivamente libri)… dunque, dicevo, caro direttore, dottor Marco Bonassi, le scrivo a nome mio e – credo – di molte mie colleghe scrittrici, a seguito delle sue dichiarazioni rilasciate in quest’intervista apparsa su Repubblica. Quando la giornalista Brunella Torresin nota che lei non ha citato nemmeno un’autrice donna, ecco la sua risposta:

«Lo confesso, non ne…

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Un cambio di prospettiva su molestie, stupri e contesto

Un uomo appoggia la mano sulla coscia di una donna, seduta accanto a lui, e le sorride, facendo leggermente pressione con la mano per farle capire che il contatto è stato intenzionale.

Ok, io non sono una grande narratrice. La situazione che ho descritto, tuttavia, per essere compresa ha bisogno di essere contestualizzata.

Scenario 1: l’uomo e la donna sono due estranei e si trovano in metropolitana. Questo è il racconto di un banale episodio di molestie sessuali quotidiane, così banale che spesso non viene nemmeno riconosciuto come tale, oppure viene ignorato, perché è più facile lasciar perdere piuttosto che farlo notare all’autore della molestia, rischiando di essere insultate, oppure richiamare l’attenzione delle persone circostanti alzando la voce, senza sapere se fingeranno di non aver sentito e ignoreranno la situazione oppure interverranno in qualche modo, dato che la maggior parte delle persone considera questi episodi qualcosa che semplicemente accade e non si rende quanto di quanto possano essere sgradevoli per una donna.

Scenario 2: l’uomo è il compagno della donna e i due si trovano sul divano di casa, guardando un telefilm. Questo è il racconto di un piccolo momento di complicità di coppia, uno di quei piccoli gesti teneri e sexy, di quelli che ti riscaldano il cuore per la loro spontaneità.

Tutta questa premessa serve per dire che occorre sempre guardare il quadro generale quando si analizza un fenomeno. Solo in questo modo è possibile osservarne ogni articolazione e dargli un significato, porlo in relazione con altri fenomeni. Se non si contestualizza, si avrà sempre una visione parziale delle cose.

Ho già scritto quanto è importante che questo modo di pensare sia insegnato nelle scuole, e in particolare nella storia. Ma è un’operazione che richiede uno sforzo cognitivo consapevole, perché siamo soggetti a quello che in psicologia sociale è definito errore fondamentale di attribuzione (Ross, 1977; Gilbert e Malone, 1995), la tendenza sistematica attribuzionale generale che porta le persone a considerare il comportamento come il prodotto di stabili caratteristiche di base della personalità, sovrastimando l’impatto delle caratteristiche interne individuali e sottostimando l’impatto di quelle situazionali, del contesto. L’errore fondamentale di attribuzione (noto anche come bias di corrispondenza), è la radice cognitiva del victim blaming, perché porta a ritenere che la vittima sia in qualche modo responsabile di quello che le è successo per comportamenti e scelte personali (fattori interni) piuttosto che per la situazione in cui si è trovata e per le azioni dell’aggressore (fattori esterni).
L’errore fondamentale di attribuzione, peraltro, non è connaturato al funzionamento della mente umana, ma è un prodotto della socializzazione, in quanto è stato dimostrato che esso è meno marcato nelle culture collettivistiche dell’Asia orientale, dove le persone sono più inclini ad adeguare il proprio comportamento al contesto sociale rappresentato dagli altri e dalle norme (Morris e Peng, 1994; Smith, Bond e Kagitcibasi, 2006).

L’errore fondamentale di attribuzione è prodotto anche dallo squilibrio di informazioni fra l’attore, che vive una situazione in prima persona, e l’osservatore. Questo squilibrio è definito effetto attore-osservatore (Jones e Nisbett, 1972; Watson, 1982) ed è dovuto al fatto che quando siamo osservatori giudichiamo gli altri indipendentemente dal contesto, mentre quando siamo attori ci focalizziamo sul contesto intorno a noi (centro dell’attenzione), e al fatto che abbiamo una conoscenza maggiore del nostro comportamento e sappiamo dire quando esso è influenzato dai fattori situazionali (asimmetria dell’informazione).

Tutto questo ci porta ad una conclusione: nello scenario 1, l’uomo può negare di aver compiuto una molestia sessuale, ma non spetta a lui stabilirlo (ovviamente, non possiamo lasciar decidere ai criminali cosa è un crimine). Ci sono dei fattori oggettivi – invadere lo spazio personale di un’altra persona è solitamente sgradevole e contrario alle norme dell’interazione sociale, perciò non si ha diritto a presumere che l’altra persona fosse consenziente o apprezzasse di essere toccata da un estraneo fino a prova contraria – ma alla fine è solo l’integrazione fra l’analisi del contesto e l’ascolto della persona che si ritiene vittima a permetterci di delineare un’interpretazione corretta della situazione.

Non sto dicendo che ogni situazione in cui una persona afferma di essere stata molestata è, a rigore della legge, una molestia sessuale in modo automatico. Sto dicendo che il modo corretto di inquadrare la situazione è partire dalla testimonianza della vittima piuttosto che metterla in dubbio a priori – se una persona denuncia un crimine, si indaga per provare che il crimine è avvenuto, non per provare che non è avvenuto. Questo video illustra perfettamente il punto della questione.

D’altronde, poniamo il caso di un ragazzo che abbia avuto un rapporto sessuale con una ragazza molto ubriaca: che diritto aveva lui di presumere che lei (legalmente non in grado di dare un consenso valido) fosse consenziente? In situazioni dubbie, si deve propendere per l’assenza di consenso.
E, in ogni caso, è già abbastanza disgustoso che una persona voglia avere rapporti sessuali con un’altra che appare mezza incosciente, non responsiva, non in grado di essere coinvolta, partecipe e attiva. Questo fatto ci dice che dobbiamo promuovere un’idea diversa di sessualità, di consenso, in cui il benessere del partner sia una precondizione indispensabile, in cui il rispetto per le scelte e i bisogni altrui sia fondamentale (vorrei ricordare che è stupro anche se una persona decide di ritirare il proprio consenso durante l’atto e l’altra ignora deliberatamente l’avvenuto cambiamento nella situazione). E’ cultura dello stupro anche concepire il sesso come un diritto, piuttosto che come un atto di relazione che prevede le sue negoziazioni, i suoi limiti e l’accordo fra due persone, accordo che è soggetto a cambiamenti con il mutare della situazione.

PS: la situazione descritta all’inizio del post come esempio di ambiguità non corrisponde a nessuno dei due scenari ipotetici. In realtà è tratta da Resident Evil: Retribution.

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