Questo è il post che conclude (per ora) la serie sull’oggettivazione del corpo maschile nei media, iniziata qui (e questo è il post a cui fare riferimento per i criteri su cui sono basati tutti gli altri, al fine di evitare le ripetizioni) e proseguita qui e qui. L’intera serie si basa su materiali iconografici forniti da Alessiox1, che ringrazio ancora. Le immagini di questo post sono, in effetti, meno esplicite e meno deumanizzanti di quelle dei post precedenti, ma hanno in comune il fatto di mostrare degli uomini nel ruolo di oggetti sessuali, in mostra per lo sguardo femminile (o per lo sguardo di altri uomini, come d’altronde suggerisce l’assenza di figure femminili, né rappresentate né a cui si fa riferimento, in alcune di queste immagini).
Questa immagine rientra nel punto 5 del test di Heldman. Il ragazzo è infatti nudo in mezzo al ghiaccio (il che significa che la sua nudità non è “giustificata” dal contesto, ma esprime solo una valenza sessuale), ha uno sguardo e una posa sensuale, proteso verso lo spettatore per mettere in mostra i muscoli del torso.
Queste immagini rientrano nel punto 2, in quanto raffigurano uomini resi oggetto che sostengono una donna; il fatto che abbiano il corpo rivestito da un body painting che conferisce loro l’aspetto di statue ci aiuta a contestualizzare la loro valenza di oggetti, suggerendo che siano stati “pietrificati” dal potere di seduzione della donna (interpretazione rafforzata dallo slogan, “rule!”, regna!, che richiama per associazione mentale le regine delle fiabe) ed escludendo un’interpretazione in senso BDSM (peraltro, già il tipo di abbigliamento delle donne, lontano dall’estetica BDSM, ci allontanava da questo immaginario).
Queste non sono immagini pubblicitarie, ma sono contenute nel prodotto stesso: una serie di lucidalabbra in cui, svitando il tappo, il ragazzo raffigurato vestito su di esso appare in mutande. Ci sono diversi modelli, ma tutti, nella fotografia in cui appaiono in mutande, ricadono nella categoria 5 del test di Heldman, come si vede dal fatto che le caratteristiche considerate sessualmente attraenti (i muscoli, il sedere, il pene) sono poste in risalto.
In questa immagine è il contesto a determinare il ruolo del ragazzo come oggetto sessuale: si trova al centro della composizione, è raffigurato di spalle, è l’unico personaggio seminudo ed è circondato da personaggi vestiti. L’inquadratura colloca noi, che guardiamo l’immagine, fra i clienti della lavanderia che sono “spettatori” della scena, proprio come la giovane donna sulla sinistra, il cui sguardo va nella stessa direzione del nostro. Sebbene quest’immagine stia ai confini, nel senso che non ricade in nessuno dei sette criteri di Heldman, ritengo comunque plausibile inserirla in questa serie.
Questa immagine è una delle più smaccate e rientra nel punto 5 (il fatto che gli uomini siano nudi e impacchettati dimostra chiaramente l’intento di mostrarli come principalmente caratterizzati dalla disponibilità sessuale) e nel punto 4 (essi appaiono intercambiabili, non sono la stessa persona, ma non hanno nemmeno caratteristiche che rimandino all’individualità personale; inoltre non possiamo vedere i loro sguardi per via degli occhiali da sole). Il contesto dell’immagine rafforza molto l’oggettivazione: gli uomini sono negli scaffali di un banco frigo, le donne sono le clienti, gli uomini sono nudi, le donne vestite.
Queste immagini, in cui la carica di oggettivazione dei soggetti rappresentati è decisamente molto debole (ma non del tutto assente, ce ne accorgiamo facendo una prova di commutazione mentale, un gender swap, e immaginando che siano due donne ad essere sdraiate in posa sexy, seminude, sulla tavola – anche se in quel caso subentrerebbe l’impatto dello stereotipo della casalinga sexy e la valenza sminuente della “donna in cucina”, inteso come offesa maschilista secondo cui quello è il posto delle donne, il loro ruolo: cucinare ed essere attraenti per gli uomini) rispetto ad altre immagini analizzate in questa serie, e in cui i soggetti risultano più attivi, espressivi e umani, penso possano valere come termine di confronto per una rappresentazione del sexy che non escluda il calore umano, l’individualità, il riconoscimento – nel senso di vedere e percepire un altro individuo di fronte a noi – cioè tutti quegli elementi che marcano la distinzione fra un corpo e una persona.
Ora, io, probabilmente perché sono donna, ma può essere anche una questione di sensibilità personale, provo disagio nelle situazioni in cui il mio corpo viene a scavalcare la mia persona, in cui sono vista come un corpo piuttosto che come una persona. Questo disagio lo definirei, cercando di essere accurata, come un senso di sbagliato, nel senso che quello che provo è una sensazione di allarme, come se la situazione fosse un errore, qualcosa che non deve stare succedendo, ma su cui sono impotente. E’ una sensazione breve, di solito – cerco di andarmene, o di scacciare quella sensazione – ma è tanto reale quanto il fatto di battere sulla tastiera queste parole.
I commenti ai post precedenti di questa serie hanno messo in luce che, almeno per quanto concerne i commentatori, questa sensazione non sembra essere vissuta dagli uomini che osservano l’oggettivazione del corpo maschile, mentre io la rivivo quando vedo immagini oggettificate di donne, specie quando questa oggettivazione ha una carica di umiliazione, degradazione. Non penso che gli aspetti emotivi possano essere svincolati totalmente da un’analisi di questo fenomeno: l’oggettivazione è un problema in quanto produce delle conseguenze, e non trovo sbagliato annoverare fra queste conseguenze il disagio delle persone che la vivono su di sé (so di non essere la sola, ovviamente).