La mia solidarietà digitale: conoscenza libera e gratuita

E così, per me le lezioni sono finite. Il 18 dicembre, con l’ultimo incontro dell’ultimo laboratorio, in didattica a distanza, si è svolta l’ultima lezione dell’anno accademico 2020-2021 del corso di laurea magistrale in Analisi dei processi sociali presso l’Università di Milano-Bicocca. In questo secondo semestre non mi resta che trovare un relatore o una relatrice e iniziare a scrivere la tesi, oltre che a studiare per gli ultimi esami che mi mancano, da dare a giugno. Nel mentre, sto continuando a svolgere la mia attività presso l’Ecomuseo Adda di Leonardo, un progetto che sto vedendo crescere e che mi regala tanta fatica e parecchie soddisfazioni in cambio dell’energia e della determinazione che ci riverso con amore e orgoglio. Il rinnovato tempo libero è anche un’opportunità per me di riscoprire ciò che mi è mancato durante il lockdown della primavera 2020: camminare nei boschi, andare in bici lungo il fiume, e assistere al risveglio della natura dopo un inverno che mi è sembrato al contempo senza fine e brevissimo, perché schiacciato fra impegni che mi hanno assorbita completamente, ma che sono soddisfatta di essere riuscita a portare a compimento.

Ma questo rinnovato tempo libero, che finalmente sento come realmente uno spazio di libertà, è anche uno spazio di opportunità: in questo anniversario del DPCM che ha dato avvio al lockdown sull’intero territorio italiano e che è stato per tutti una doccia gelida circa la realtà e la dimensione del problema Covid-19, non voglio ricordare solo l’impatto drammatico che ancora oggi stiamo tutti vivendo, anche se è inevitabile pensarci. Pensare al suono delle ambulanze sullo sfondo delle lezioni, all’uscire in una città deserta in un silenzio surreale, alle immagini dei mezzi dell’esercito nei viali di Bergamo, allo stringere la mano del mio compagno durante le conferenze stampa del presidente del consiglio Conte, sforzandomi di pensare che anche se non sarebbe andato tutto bene ne saremmo usciti, in qualche modo, sorridere di fronte alle lenzuola con gli arcobaleni, simboli che si estendono dallo spazio privato delle case verso lo spazio pubblico delle strade. Solidarietà è una parola che si è usata molto e che spero impareremo a praticare di più, ogni giorno, ricordando che la solidarietà è il primo modo che abbiamo per tamponare le ingiustizie, per esprimere i nostri doveri di cittadini, per fare la nostra parte. Non per niente la Costituzione afferma nitidamente che ognuna/o di noi è tenuto ai propri “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (Art. 2) che non si esprimono solo nel pagare le tasse e rispettare le leggi, ma devono essere ridefiniti in termini di responsabilità di prenderci cura gli uni degli altri – prenderci cura dell’ambiente, della salvaguardia delle istituzioni della società, delle persone più vulnerabili, delle nuove generazioni, di coloro che sono ai margini – attraverso l’impegno civico e la partecipazione
In questo momento sto esprimendo il mio impegno attraverso il mio lavoro nell’Ecomuseo: stiamo costruendo opportunità per il territorio, opportunità di sviluppo attraverso il turismo e la valorizzazione dei beni culturali, di riscoperta di un senso di appartenenza che ci unisce in una storia comune, di tessitura di relazioni e network per condividere e realizzare progetti e idee. Inoltre, con l’aiuto di mia madre sto continuando a perlustrare le strade che si estendono dal paese verso le campagne per raccogliere il vetro. Guanti da lavoro, bicicletta e borse della spesa, abbiamo raccolto più di 500 bottiglie di vetro e sacchi interi di lattine in alluminio, che saranno avviati al riciclo e contribuiranno a un circolo virtuoso invece di restare dispersi nell’ambiente. Questo lavoro non è glamour, ma quando si comincia a vedere l’estensione dello scempio che avvolge i nostri territori non si può smettere di vederla, e fare qualcosa al riguardo è alla portata di tutti. Non basta non buttare i propri rifiuti nell’ambiente per dire di aver fatto il proprio dovere di cittadina/o: occorre compiere quel passo in più in nome con impegno e responsabilità.

Un altro modo in cui possiamo nutrire la nostra consapevolezza civica è quello di cogliere le opportunità di apprendimento che ci vengono messe a disposizione dall’estensione degli strumenti digitali inaugurata con la pandemia. È un risultato positivo che la ridefinizione dei modi di vivere gli eventi culturali dovuta alla pandemia abbia reso più accessibili iniziative e contenuti che altrimenti sarebbero stati riservati a coloro che potevano fruirli di persona. L’accessibilità della conoscenza è una tematica importante di questi tempi, perché dobbiamo essere consapevoli dei divari che attraversano la nostra società, generando ingiustizie e impedendo a tutti di fruire delle stesse opportunità. Pensiamo ad alcuni privilegi di cui spesso ci dimentichiamo: il privilegio di avere accesso a Internet e di saper usare il computer, che ci permette di accedere ad alcuni bonus e misure di sostegno economico che ad altre/i cittadine/i sono negate, come il Bonus Mobilità o il cashback tramite l’app Io; il privilegio di avere la cittadinanza italiana e quindi dei documenti che sono quelli di default e ci permettono di portare a termine delle procedure burocratiche senza attriti e di avere accesso a opportunità che ad altri sono precluse (due esempi vicini a me: ai programmi di stage del Ministero degli Esteri non possono accedere studenti e studentesse privi di cittadinanza italiana, anche se hanno un’altra cittadinanza europea; se il permesso di soggiorno è scaduto/in corso di rinnovo, gli studenti e le studentesse extracomunitari/e non possono ottenere la registrazione dei loro voti d’esame sul libretto). Per molte/i di noi, un privilegio è sapere l’inglese, e quindi avere accesso a un universo di libri, risorse, corsi, seminari, eventi, fumetti, serie TV e film che non sono ancora stati tradotti in italiano e forse non lo saranno mai. 

Vorrei invitarvi, lettori e lettrici di questo piccolo spazio, ad esplorare alcune opportunità fruibili attraverso i mezzi digitali di cui sono venuta a conoscenza e che penso siano utili e interessanti, perciò pubblico una lista di segnalazioni, alcune in italiano e altre i inglese. Un piccolo passo verso la condivisione solidale di idee che secondo me meritano di essere diffuse e rilanciate. Il titolo del post riprende l’iniziativa Solidarietà Digitale promossa dall’AGID (Agenzia per l’Italia Digitale) nella primavera del 2020, durante il primo lockdown, in cui tutta una serie di risorse sono state messe a disposizione di tutte/i gratuitamente da varie aziende per aiutare i cittadini a coltivare abilità, accrescere la propria formazione e trascorrere il tempo della costrizione con qualcosa in più a disposizione. 

  • Il percorso BBetween Civic Engagement – DeplastificAzione dell’Università di Milano-Bicocca è un corso online sul tema dell’impatto dell’inquinamento da plastica sugli ambienti marini, accessibile a tutte/i coloro che hanno un account Microsoft (@outlook, @hotmail) oppure Google (@gmail), oltre agli account universitari (Idem/EduGain). Si può ottenere, alla fine del percorso, un open badge che certifica l’acquisizione delle competenze sul tema, che può essere inserito nel proprio CV.
  • L’Università di Yale ha dei corsi online ad accesso libero, fra cui segnalo quello su African American History: from Emancipation to the Present per conoscere meglio le questioni razziali negli Stati Uniti. Il corso è solo in inglese, ma per chi ne ha la possibilità penso sia importante conoscere meglio questa tematica, perché educazione e consapevolezza sono sempre i primi passi per cambiare noi stessi e lavorare per cambiare il mondo. In ogni caso, ci sono anche tantissimi altri corsi gratuiti con argomenti che spaziano dalla chimica organica ai mercati finanziari, dall’architettura dell’antica Roma al Don Chisciotte, dalla storia del capitalismo all’Antico Testamento. Altri corsi ancora curati da Yale sono disponibili su Coursera, gratuitamente, registrandosi al sito. 
  • La casa editrice Settenove è una stella luminosa per quanto riguarda libri senza stereotipi per bambine e bambini e formazione su questioni di genere. Se avete la possibilità di sostenerla acquistando uno dei loro libri, fatelo. Se invece in questo momento vi è difficile supportare cause, lo capisco: è un periodo difficile. Ci sono anche dei materiali didattici scaricabili gratuitamente
  • Molti incontri, seminari e conferenze che in passato si sono svolti in presenza, in questo contesto si sono svolti online e sono quindi accessibili anche dopo la conclusione dell’evento. In particolare ho trovato molto interessante questo dibattito tra Elsa Fornero e Marta Fana, economiste, sul tema delle disuguaglianze economiche e di opportunità che attraversano la nostra società. 
  • Il documentario di Ken Loach (in inglese sottotitolato in italiano) The Spirit of ’45, che racconta la storia della nascita del Welfare State nel Regno Unito, è incredibilmente intenso e attuale nel nostro contesto in cui è apparso in tutta la sua evidenza il fatto che tenere i sistemi di welfare operativi al minimo indispensabile in circostanze “normali” ci rende del tutto impreparati ad affrontare circostanze impreviste.
  • In occasione dell’otto marzo numerosi seminari e tavole di discussione virtuali sulle questioni di genere offrono opportunità di riflettere e approfondire numerosi aspetti della persistente diseguaglianza strutturale fra uomini e donne nella nostra società. Fra quelli che conosco, vi segnalo Donne e lavoro di cura durante la pandemia e Uguaglianze e differenze: perché lottare per la parità di genere?, organizzati dall’Università di Milano-Bicocca. I seminari online hanno il grande pregio di poter essere ascoltati come podcast mentre si lavora, e offrono riflessioni dense e stimolanti con cui occupare un paio d’ore per assorbire idee e spunti. 
  • Per chi è a proprio agio con i contenuti in inglese ed è interessato al campo della personal finance, ovvero del prendersi cura dei propri soldi imparando a spendere meno e spendere meglio, costruendo uno stile di vita solido e che rispecchia i nostri obiettivi e progetti, Clever Girl Finance offre una serie di corsi gratuiti accessibili registrandosi al sito. Se alcuni contenuti sono applicabili solo al contesto americano, altri sono validi spunti per riflettere sulla propria situazione e su come migliorarla a prescindere dal contesto. Sullo stesso tema, Her first 100k ha un webinar su come dare un taglio agli acquisti d’impulso e maturare consapevolezza sui soldi che spendiamo, rivolto in particolare alle giovani donne (categoria di cui anch’io faccio parte e che uso con orgoglio).
  • Grazie al blog di Paolo Attivissimo ho scoperto l’esistenza di un programma dedicato alle fake news e ad altri problemi dell’informazione, di cui alcuni episodi sono disponibili gratuitamente online per poterli vedere anche al di fuori dell’orario di messa in onda: Fake – la fabbrica delle notizie. Non l’ho ancora visto, ma ho in programma di recuperarlo appena possibile.
  • Per chi legge in inglese, l’Università della California ha una serie di volumi scaricabili gratuitamente ad accesso libero che contengono ricerche su argomenti molto diversi. Se state cercando una lettura impegnata ma stimolante, provate a vedere se c’è qualcosa che vi ispira. Anche la Banca Europea per gli Investimenti (EIB) ha una biblioteca digitale di pubblicazioni gratuite dove potete trovare report ma anche brevi saggi di una serie intitolata “Big Ideas” con contributi di ospiti fra cui Jeremy Rifkin, Massimo Bottura e Bebe Vio.
  • Google offre una serie di corsi gratis su temi come il marketing digitale e l’avviare un’attività di commercio online, ma sulla piattaforma ci sono anche corsi correlati su argomenti come parlare in pubblico, costruire una narrazione efficace per le proprie idee e cercare lavoro online. Non è proprio il genere di argomenti che interessa a me, ma credo che possano essere utili per chi vuole magari rafforzare le proprie competenze in ambito digitale per il proprio curriculum. Di questi tempi, non guasta mai.
  • Una nuova generazione di ragazze sta lavorando all’intersezione fra educazione finanziaria e femminismo, lavorando per offrire gli strumenti per costruirsi una propria stabilità economica – anche quando il futuro è incerto, le carriere precarie, i guadagni magri, ed è difficile sentirsi adulte/i – e al contempo riconoscendo che le ingiustizie sistemiche plasmano il campo di gioco in cui tutte/i noi dobbiamo fare le nostre scelte. Ingiustizie generazionali, legate al genere, all’etnia, all’interno delle quali il compito di costruire il nostro futuro non può essere sminuito dalla retorica delle opportunità e del merito, ma deve partire da scelte consapevoli e da uno sguardo ampio, sistemico. Per chi se la cava con l’inglese, potete seguire conversazioni stimolanti e ispiratrici come questo dialogo fra Kara Perez di We Bravely Go e Lauren McGoodwin di Career Contessa sul costruire una carriera oppure questa potente e magnifica tavola rotonda sulle ineguaglianze, questo workshop su come negoziare un aumento di stipendio, oppure ancora quest’altra tavola rotonda su come costruire il proprio budget. Ascoltare voci diverse e poco note è un’occasione per imparare cose nuove che non avremmo probabilmente occasione di scoprire altrove, ed è importante ricordare che non sono solo le voci delle donne ai vertici a rappresentare “quelle che ce l’hanno fatta”, ma anche chi sta costruendo nuove strade. Queste donne emanano una forza che trovo magnifica, la forza quieta della competenza sorretta dal desiderio di costruire cambiamento attraverso l’empowerment e la consapevolezza. 
  • Questo blog non promuove nessuna azienda, né tantomeno è sponsorizzato da qualcuno (chi pagherebbe per avere visibilità su uno spazio così piccolo, che si occupa di tematiche così di nicchia?), perciò tutte le segnalazioni che trovate sono qui perché ritengo sinceramente che siano interessanti e di valore come occasioni per imparare qualcosa. Per cui vi segnalo un ciclo di webinar del Banco BPM sul tema della relazione fra donne e denaro, di cui ho appena seguito l’episodio di oggi, dedicato agli investimenti nell’economia sostenibile, che è stato davvero stimolante, soprattutto in relazione al ripensare il paradigma della crescita, pensando invece in termini di bisogni e ricordando che le risorse ambientali rappresentano il contesto e il limite entro cui si colloca il nostro agire.
  • Come avrete notato, questo post riflette anche il mio interesse crescente per la personal finance (in italiano diremmo economia domestica?), il quale a sua volta rispecchia il mio desiderio di prepararmi alla vita da adulta avendo tutte le risorse possibili per costruire la mia indipendenza economica. Sono sempre stata una persona frugale, perché i miei genitori mi hanno educata a una forte sensibilità ambientale, al risparmio e a rifiutare il superfluo, ma mi rendo conto che tradurre in pratica una mentalità richiede strumenti e conoscenze che non sono scontati, ma per fortuna là fuori ci sono molte risorse per acquisirli e approcciarsi alla gestione dei propri soldi con consapevolezza e intenzionalità. Purtroppo molte di queste risorse sono in inglese e quindi c’è ancora un problema di accessibilità, ma almeno per chi mastica la lingua possono essere un ottimo punto d’inizio, e se conoscete risorse sul tema in italiano, fatemi sapere. Intanto, vi segnalo una serie di corsi gratuiti offerti da TheSkimm.
  • Le molestie nei luoghi pubblici sono un’esperienza che accomuna quasi tutte le donne e non pochi uomini, lasciando tracce emotive che accrescono il senso di vulnerabilità in presenza di estranei, impedendoci di vivere lo spazio pubblico come uno spazio che ci appartiene, dove possiamo esistere libere e fiere, dove possiamo lasciare il segno con la nostra presenza ergendoci con la forza della nostra voce, del nostro occupare spazio. Possiamo emanare forza solo quando ci sentiamo stabili e al sicuro, e infatti le molestie esistono per creare un clima di insicurezza che impedisce alle donne di appropriarsi simbolicamente dello spazio pubblico, ma obbliga a reazioni difensive come il chiudersi in sé stesse, occupare meno spazio possibile, cercare di essere invisibili. I molestatori “agiscono il patriarcato” esprimendo il loro senso di entitlement al corpo femminile in pubblico. Stand Up! è un progetto nato a partire da Hollaback! per fare formazione su come combattere le molestie quando si è spettatori o vittime di azioni indesiderate in modo semplice e sicuro, senza esporci né al rischio di creare un’escalation della situazione, né a quello di fare figuracce di fronte a una situazione che abbiamo frainteso. E comunque, lo dico a me stessa per prima, il timore di fare figuracce non dovrebbe dissuaderci di fronte alla possibilità di aiutare un’altra persona in una situazione difficile! Per prenotare un posto per seguire il webinar di formazione, andate qui: la formazione dura un’ora ed è davvero per tutte/i. 

Questo post è un lavoro in corso che sarà aggiornato con nuove segnalazioni man mano che mi capitano sottomano. Avete segnalazioni e risorse da condividere? Ho riattivato i commenti! Sentitevi libere/i di contribuire a scambiare materiali, e grazie. 

Il punto della situazione

Buon 2021 a tutti i miei lettori e a chi dovesse passare di qui per caso, e a una persona in particolare il cui sostegno – in questo spazio e oltre – significa moltissimo per me. Sono di nuovo qui a scrivere, in un ambiente nuovamente familiare e accogliente, grazie a Sendivogius del blog Liberthalia, che mi ha gentilmente segnalato come procedere per ripristinare l’editor classico di WordPress. Grazie, davvero.

L’inizio dell’anno è sempre tempo di bilanci e sono grata di avere il tempo per fermarmi, scrivere e fare il punto della situazione voltandomi a guardare il sentiero che ho percorso finora. La parte più importante della mia vita è sempre l’università: in questo momento, sono iscritta al secondo anno del corso di laurea magistrale in Analisi dei Processi Sociali in Bicocca. I corsi sono finiti, e l’ultimo giorno di lezioni è passato in sordina, complice anche la didattica in remoto. Adesso mi attende un semestre completamente vuoto, da riempire con stage, tesi, gli ultimi esami a giugno. Spero che sarà un’opportunità per coltivare tutte le cose che ho trascurato quando sono stata assorbita dalle lezioni e dai compiti annessi.

In un certo senso, l’intero 2020 è stato un anno trascorso in apnea, in cui ho perso il senso delle stagioni: non ho avuto la possibilità di vivere la primavera se non vedendola dalla finestra o quando uscivo per fare la spesa, l’estate è stata del tutto assorbita dalla preparazione dei progetti per gli esami, l’autunno è stato risucchiato dai ritmi di una didattica a distanza densa e senza pause, ed è arrivato l’inverno. Mi sembra di essere tornata a respirare solo adesso, sapendo che tutti gli elaborati per l’appello d’esami di gennaio sono conclusi e consegnati, e non resta che attendere gli esiti. Sento il bisogno fisico di fermarmi e ritrovare le cose che sono sfuggite al mio sguardo e rimaste da parte, mentre correvo a testa bassa per stare dietro alle cose da fare. A dicembre ero convinta che non ce l’avrei fatta a rispettare la scansione che mi ero promessa per sostenere gli esami, ma adesso che comincio a vedere la cima della montagna non sembra più così irraggiungibile, e mi sembra di avere perfino abbastanza tempo per riposare e rifocalizzarmi non solo sul cammino da compiere, ma anche su me stessa e su quello che ho realizzato finora.

Anche se il 2020 è stato difficile, mi reputo fortunata. Essendo una persona abbastanza introversa, le cui ‘batterie sociali’ si esauriscono rapidamente a contatto con le altre persone e per cui la solitudine e lo spazio personale sono importanti per il mio equilibrio, non ho risentito particolarmente del primo lockdown. Durante uno dei corsi del semestre appena trascorso, ci è stato chiesto di scrivere una riflessione personale su come abbiamo vissuto la pandemia e cosa ne abbiamo tratto. Credo che valga la pena riportarla qui perché rende l’idea di cosa abbia rappresentato per me questo anno anomalo.

“La domanda a cui mi appresto a rispondere, l’implicito che aleggia sul foglio bianco, è come la pandemia da Covid-19 abbia trasformato la mia vita e come io l’abbia affrontata, e per estensione qual è stato l’impatto e quali risorse abbia innescato, o fatto scaturire, nella mia generazione.
Non posso affrontare questa domanda senza partire da me, e nello specifico dalla mia visione del mondo. Non studierei sociologia se non volessi cambiare il mondo, e se non credessi che il mondo può essere reso un posto migliore. Credo che questo sia possibile solo tessendo reti dall’impegno individuale al cambiamento collettivo, per affrontare i problemi a ogni scala a cui si presentano. Questa prospettiva, che qui non posso che delineare nei suoi contorni più ampi, si traduce in un’ottica sulla vita mossa da un profondo senso di dovere e responsabilità nei confronti di questi problemi: non sentirei di stare vivendo nel modo giusto se non infondessi consapevolezza e responsabilità nelle mie scelte, se non cercassi di essere all’altezza dei miei ideali nella quotidianità. Quando voglio ricordare a me stessa di stringere i denti e fare la cosa giusta, sono alcuni versi di canzoni a incarnare questa motivazione: “I know that I must do what’s right/sure as Kilimangiaro rises like Olympus over the Serengeti” (Africa, Toto); “It all seems so stupid/It makes me want to give up/But why should I give up/When it all seems so stupid?” (Shame, Depeche Mode).
Fondamentalmente, tutto questo è per dire che mi sento una guerriera, nella vita, impegnata a combattere una battaglia per tracciare il mio sentiero e costruire qualcosa con la mia vita che abbia un significato che va oltre me stessa e che, quando sarà arrivato il momento di fermarmi e di guardare indietro verso il sentiero che avrò percorso, mi farà sentire di aver fatto la mia parte e di poter riposare con il cuore fiero nella consapevolezza di non aver vissuto invano.
La pandemia non ha fatto altro che rafforzare questa mia determinazione, e in questo senso posso dire di averla vissuta bene. In parte è anche merito delle circostanze: ho avuto la fortuna di poter trascorrere il primo lockdown con il mio compagno, con il quale ho una relazione a distanza che dura ormai da nove anni. Non avevamo mai trascorso così tanto tempo assieme, scherzando mi sono trovata a definire il lockdown come una ‘prova tecnica di convivenza’ e insieme ci siamo resi conto che possiamo farcela, che nella quotidianità dello stare insieme ci rafforziamo a vicenda e ci rendiamo persone migliori, sostenendoci reciprocamente nell’impegno di fare la cosa giusta, che sia fare allenamento tra una lezione e l’altra oppure andare a fare la spesa a piedi. Nel complesso, del primo lockdown porto ricordi felici, in cui l’orizzonte ristretto di quel piccolo appartamento è stato per me un nido in cui immaginare concretamente il futuro di quando io e lui potremo vivere insieme, un orizzonte che, con il passare del tempo, desideriamo sempre più ardentemente sentire vicino, pur nella consapevolezza che prima di compiere questo passo dovremo avere un piano e tutte le risorse per portarlo a termine. Il tempo del lockdown è scandito da alcune immagini, l’erba nelle aiuole che cresceva rigogliosa senza nessuno a tagliarla, i papaveri sul ciglio della strada, svegliarsi presto sapendo di poter camminare fino dal panettiere per ritirare la Magic Box settimanale di prodotti da forno, sedersi sul muretto che delimita i confini del balcone al tramonto per leggere e sentire il sole sulla pelle, gli abbracci prima di dormire, le videochiamate con le amiche.
Quando sono tornata a casa, con la riapertura, con la valigia in mano in una stazione ferroviaria deserta, ho sentito un forte senso di nuovo inizio, di rinnovamento. Nel corso dell’estate, ho fatto un punto di cercare di impegnarsi più di prima nella mia quotidianità, anche per supplire alla mancanza di quelle forme di impegno collettivo che rendono tangibile l’appartenenza condivisa a una comunità. La cosa che mi è mancata più di tutte è stata Puliamo il Mondo, la giornata in cui si gira con guanti e sacchi della spazzatura per raccogliere l’immondizia ai margini delle strade che portano fuori dal paese, verso la campagna. Nel mio paese, ci sono sempre due squadre: i genitori con i bambini restano in paese e raccolgono piccoli rifiuti, mentre una squadra di volontari “tosti”, come ci definiamo ridendo, si inoltra verso le aree dove per raccogliere la spazzatura bisogna calarsi nei fossi e nelle macchie di bosco dove persone poco dotate di spirito civico abbandonano grandi quantità di rifiuti.
Mi è mancata questa dimensione dell’impegno collettivo, così ho preso l’abitudine di raccogliere i rifiuti portando una borsa della spesa con me ogni volta che avevo qualche commissione da svolgere. Zaino in spalla, guanti da lavoro e bicicletta, ho pensato spesso al valore della circolarità di tutte quelle bottiglie di vetro e lattine di alluminio che ritornano nel circuito del riciclaggio per trovare nuova vita. Dovremmo tutti pensare maggiormente in termini circolari, tornare a sentirci “tutti collegati nel grande cerchio della vita”, percepirci come parte di un ecosistema vulnerabile e di una comunità vulnerabile per altri versi, ricordarci che dobbiamo restituire per quello che ci è stato dato, per quello che ci preesiste e che senza di noi non è scontato che continui a esistere.
Non posso dire davvero come la mia generazione abbia affrontato la pandemia, ma credo che quello che ho percepito attorno a me, a partire dalla mia esperienza, è che per noi è stato più facile adattarci al nuovo orizzonte, alla nuova dimensione della socialità a distanza. Lo abbiamo fatto non perché non sentiamo la mancanza dei rapporti in carne e ossa, ma perché collettivamente il nostro spirito è stato quello di una promessa di ritrovarci – quando tutto questo sarà finito, allora potremo riabbracciarci, nel mentre…I know that I must do what’s right.
Ho percepito un grande spirito di adattamento e determinazione, anche in coloro che hanno dovuto compiere scelte drastiche dall’oggi al domani, decidere dove trascorrere i mesi successivi, su quale luogo e dimensione poggiare i piedi in attesa di poter ripartire. Io stessa, all’inizio di questo secondo lockdown, ho esitato molto nel decidere se restare a casa con i miei genitori o fare la valigia, prendere il treno e correre dal mio compagno prima che i metaforici cancelli si chiudessero. Ho scelto di restare, sapendo che non lo rivedrò almeno fino a gennaio, ma in realtà chi può dirlo? Ho scelto di restare, perché I know that I must do what’s right.
Credo che per la mia generazione, per i millennial, la pandemia non abbia schiacciato gli orizzonti in modo drastico perché tutti noi avevamo già messo in conto che il futuro sarebbe stato incerto, complicato, da affrontare passo dopo passo. Per contesto, io sono del 1995: avevo 13 anni quando la crisi economica del 2008 ha colpito, facevo la terza media. Prima di congedare la mia classe, la professoressa di lettere ci diede un decalogo intitolato “Dieci regole per avere un futuro”, stampato su un foglio A3. È stato un po’ il simbolo del fatto che il futuro sarebbe stato una strettoia, qualcosa per cui combattere, qualcosa per cui essere preparati. Per anni l’ho tenuto come un poster appeso all’armadio, come monito: niente ci sarà dato, niente sarà facile, dovremo conquistarci l’orizzonte a cui aspiriamo passo dopo passo, come una montagna da scalare.
Ancora oggi, quando guardo al futuro vedo una battaglia da combattere, un cambiamento da costruire, un orizzonte da conquistare. Niente è cambiato con la pandemia: tutto quello che come generazione abbiamo ereditato è tanto lavoro da fare.
Un’altra cosa che ho tenuto per anni appesa sull’armadio, è un’altra citazione dei Depeche Mode:

You can’t change the world
But you can change the facts
And when you change the facts
You change points of view
If you change points of view
You may change a vote
And when you change a vote
You may change the world

(Depeche Mode, New Dress)
Non se questa sia una risposta alla domanda. Spero che renda l’idea.”

 

Sentiero fra le colline, Parco del Curone. Andare avanti, con fiducia e determinazione, ma fermarsi a guardare il paesaggio. 

PS: Ho trovato riflessioni molto illuminanti sullo scenario che stiamo attraversando e sulle sue implicazioni in questo numero speciale della rivista dell’Associazione Italiana di Sociologia, Sociologia Italiana. Tutti gli articoli sono disponibili integralmente online e scaricabili in formato .pdf.

Un addio, o forse un arrivederci – e qualche citazione

Cari lettori,
come potreste sapere, WordPress ha recentemente stabilito la migrazione permanente dal vecchio editor di testi a uno nuovo, molto meno intuitivo e molto più scomodo. Fra gli sviluppatori e la comunità dei blogger si sono levate proteste e sono stati elaborati degli strumenti volti a disattivare in modo permanente le nuove funzionalità, giusto per dirvi quanto sono state “apprezzate”. Tuttavia, questi strumenti operano tramite plugin, e l’accesso a questi plugin non è possibile con un piano gratuito. Non ho in questo momento soldi da spendere per fare l’upgrade a un piano a pagamento, e non intendo dare dei soldi a WordPress per potere ottenere l’annullamento di una modifica che WordPress ha imposto a discapito del volere dei suoi utenti. 

Io ho sempre scritto post molto lunghi, e con questo nuovo editor di testi ciò è diventato più difficile e macchinoso, e onestamente sono molto contrariata dal fatto di dover litigare con uno strumento per un’attività che svolgo nel mio tempo libero, che fra l’altro è sempre più ridotto ai minimi termini. A questo punto la soluzione credo che possa essere quella di chiudere il blog, almeno temporaneamente, almeno finché non avrò più tempo per respirare e compiere il processo di adattamento a questo nuovo editor. Intendo far rimanere accessibile tutto quello che ho scritto in questi otto anni di esistenza del blog, ma chiudere i commenti per segnalare il fatto che si tratta – da oggi in poi – di un blog non più attivo. 

Negli ultimi mesi l’attività di questo blog è stata pressoché inesistente e di questo vorrei scusarmi con tutti voi, chi mi segue e chi è capitato qui per caso. A tutti voi, vorrei lasciare come saluto una serie di citazioni che ho raccolto negli ultimi mesi e che rappresentano per me gemme di pensiero e ispirazione da conservare e rileggere di tanto in tanto. La raccolta di citazioni è un po’ un cliché da blog, ma è bello trovare qualcosa nelle parole di altri che ci aiuti ad andare avanti, e in questi tempi difficili e gravosi estendere l’orizzonte del nostro pensiero oltre l’oscurità è, credo, qualcosa da cui tutti potremmo trovare un briciolo di conforto. Ecco perciò un po’ di citazioni in ordine sparso.

  • Chi ha la fortuna di nascere benestante, secondo alcuni avrebbe il ‘dovere’ di vivere da conservatore, o da colonialista, da fascista. Se vive da progressista, se pratica solidarietà, se non è razzista, è un fottuto radical chic. E se è femmina è una troia” (Nicola Piovani).
    Questa citazione non è proprio una gioia, ma mi ricorda una frase di Max Pezzali: “Ti potranno dire che non può esistere/niente che non si tocca o si conta o si compra perché/chi è deserto non vuole che qualcosa fiorisca in te” (dalla canzone Ci sono anch’io, che fra l’altro è stata usata nella colonna sonora del film Disney Il pianeta del tesoro, uno dei miei preferiti). Non dobbiamo permettere a nessuno di portarci via la solidarietà, l’impegno civico, il desiderio di rendere il mondo un posto migliore. Non dobbiamo cedere alla retorica dell’egoismo e dell’indifferenza, perché quando usciremo da questa pandemia ci sarà ancora più lavoro da fare per ricostruire una società gravemente provata da problemi strutturali che in questi mesi sono solo peggiorati. Il mio ottimismo ha sempre preso la forma della voglia di lottare. 
  • Quella che pare una rinuncia alla leggerezza, è in realtà una liberazione: significa darsi la possibilità di essere la versione sempre migliore di sé stessi” (Marzia D’Amico).
    Un’altra citazione nello spirito della precedente: voler lottare e impegnarsi per rendere il mondo un posto migliore significa portare un peso, ma è anche qualcosa che apre un orizzonte all’interno del quale nei giorni migliori si può trovare una forza immensa. Che è quello che auguro a tutti voi, di trovare dentro di voi le risorse che vi facciano risplendere e vi guidino. 
  • Assorbi e butti fuori, assorbi e butti fuori, ti metti in gioco, ti guardi dentro, non ti piaci, ti vomiti addosso responsabilità che non hai, poi ti riguardi riinizi a piacerti e, più o meno, vai avanti così per tutta la vita e continui quel viaggio […]. Ora i miei piedi si muovono diversamente, hanno una direzione decisa, anche se non so dove mi porteranno, a volte si fermano e battono la pianta sul pavimento, come se fossero in attesa. In attesa poi di cosa non si saprà mai credo, ma l’attesa accompagna e crea aspettative che oh, prima o poi, qualcosa di bello tornerà eh” (Manuela, L’estate dei trentenni). 
    Questa citazione mi parla del desiderio di rinnovamento e dell’energia sopita dentro di noi, in attesa. Vi auguro di trovare un modo di indirizzare quell’energia, di renderla un’energia creativa che nutre e trasforma, che aiuta e sostiene, che ci porta avanti con il nostro percorso e ci aiuta ad affrontare la fatica. Trovare questa energia c’entra con il trovare noi stessi, un’impresa non facile ma necessaria. 
  • …e una mente aperta che ricordo a tutti, non essere una frattura del cranio ma semplicemente un modo per sopravvivere e per accogliere nuove idee e nuovi progetti” (Manuela, L’estate dei trentenni). 
    Siamo tutti schiacciati da una quotidianità che sembra divenuta l’unico orizzonte, ma l’apertura mentale ci aiuta a guardare oltre noi stessi e oltre il presente. 
  • Non so e non credo che il body shaming sulle donne finirà. So però che è essenziale non farsene spezzare. Per ogni ‘cesso’ e ‘scrofa’ che riceviamo, l’antidoto è ricordare la forza che quelle parole vorrebbero spegnere. La bellezza che sappiamo riconoscere in noi stesse è la fonte della libertà che vorrebbero negarci” (Michela Murgia). 
    Forse il vostro ostacolo non è il body shaming, ma tenete stretta la consapevolezza della vostra forza luminosa, delle vostre qualità. Non permettete a nessuno di tentare di spezzarvi, e quando succede, vi auguro di riuscire a trovare la forza di rialzarvi nella consapevolezza che il mondo non può essere lasciato agli stronzi. Mai.
  • Però, non abbiate paura del potere. All’inizio della mia carriera, non avrei mai detto che ne desideravo di più. Mi sembrava un sinonimo di compromesso, prevaricazione, arroganza. Una cosa poco pulita, non una legittima aspirazione. Ma il potere è un mezzo: significa decidere. Diventa sporco se lo usano persone corrotte. Resta maschile se solo gli uomini lo maneggiano. Non è né buono né cattivo: dipende cosa ne fai quando ce l’hai. Imparate a gestirlo: offre l’opportunità di migliorare le condizioni di tutti” (Lilli Gruber). 
    Un’altra citazione nel filone ‘il mondo non può essere lasciato agli stronzi’. Che è uno stato d’animo, di determinazione e consapevolezza del proprio valore, che di nuovo auguro a tutti.
  • Stop leaving the big dreams for the millionaires” (Kumiko Love). 
    Il potere resta concentrato nelle mani dei ricchi per tanti fattori strutturali, ma ciò è molto più facile se ci convinciamo di non avere alcun potere di cambiare le cose, di aspirare a una realtà più equa, più solidale. Il primo passo per rivendicare un cambiamento è credere che valga la pena lottare per un sogno.
  • La speranza è qualcosa che si impara a esercitare quando si è incoraggiati a farlo. Non nasce da sola e può anche esaurirsi, se non viene usata. Serve allora un ambiente politico, sociale e culturale dove le persone sono abituate a sperare. Perché è dalla speranza che discendono poi le diverse immagini di futuro, così come la spinta e la possibilità di negoziarle” (Arjun Appadurai). 
    Naturalmente, non credo che una sola persona abbia il potere di cambiare le cose: il cambiamento è un processo che deve coinvolgere le comunità, estendersi oltre l’individuo, essere preso per mano e nutrito per farlo crescere. La speranza deve tradursi in impegno per non appassire e morire. L’impegno deve essere visibile e condiviso per ispirare gli altri. Questo è ciò che possiamo fare da soli, ma il resto lo possiamo fare solo insieme. 

Spero che questa raccolta di citazioni, che è anche un viaggio nel mio stato d’animo degli ultimi mesi, possa essere qualcosa che porterete con voi, magari trascrivendo qualcuna di queste frasi sull’agenda o su un post-it da appendere in giro. Qualunque cosa succeda, vi auguro di avere la possibilità di riuscire a uscirne. Nel mentre, take care & stay safe

Inizio dell’anno, tempo di bilanci…

2020. È arrivato senza che abbia avuto tempo di soffermarmi sul fatto che sta iniziando un nuovo anno, una nuova decade un nuovo decennio. Quest’anno compirò 25 anni, quindi il 2020 ha anche un significato personale, perché 25 è un traguardo ‘da adulti’ che segna in modo più tangibile una nuova fase della mia vita in cui in realtà sono già da un po’ ma non ho avuto tempo di fermarmi a pensarci. Quindi lo faccio adesso, un modo per tracciare il percorso fatto fin qui e fermare qualche riflessione che rispecchia questo periodo della mia vita, di cui questo blog è una cronaca indiretta. Questo post non avrà una grande coerenza tematica, ma riassume un po’ “il punto della situazione” nella mia vita.

Partiamo da un po’ di eventi significativi. Nel marzo 2018 ho ottenuto la laurea triennale in Sociologia, al termine di un percorso meraviglioso che mi ha fatto capire di appartenere a questo campo del sapere. Dopo la laurea mi sono iscritta a un corso di formazione in Genere, politica e istituzioni organizzato dal Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Milano-Bicocca, perché ero indecisa su che strada prendere per la laurea magistrale: una specializzazione più orientata verso le tematiche dello sviluppo turistico e territoriale o più verso la ricerca sociale pura? Mentre stavo seguendo questo corso, mi è stato chiesto di partecipare alla redazione di un progetto di intervento sugli stereotipi di genere (Be.St – Beyond Stereotypes) dando una mano ‘dietro le quinte’ alla stesura dei materiali-guida per le scuole per combattere gli stereotipi e implementare un’organizzazione e una didattica attente all’inclusività. È stata un’esperienza breve ma intensa, che si è conclusa con la presentazione del progetto nel novembre 2018.

Inoltre, quasi in contemporanea, nell’autunno 2018, sono stata coinvolta in un progetto di ricerca che è durato quasi due anni e di cui vi parlerò quando sarà concluso. È stata un’esperienza che mi ha dato la possibilità e la responsabilità di misurarmi in prima persona con il fare ricerca in ambito sociologico con uno sguardo di genere e che mi ha fatto definitivamente capire che produrre conoscenza scientifica sui fenomeni sociali è un’impresa a cui voglio dedicare la mia vita e, inoltre, che ci sono ancora moltissimi ambiti dove si possono dare contributi significativi e fare la differenza.  A volte, leggendo la letteratura scientifica su un argomento, può sembrare che tutto sia già stato detto e fatto, ma lavorando ‘sul campo’ a un progetto concreto ci si rende conto che le domande senza risposta o quelle per cui esistono risposte piccole e frammentarie sono molto di più di quelle su cui esiste un corpus di risposte consolidato. Questo progetto non è ancora finito e ha assorbito una parte significativa del mio tempo, ma ha significato anche imparare più cose di quante non abbia mai imparato in pochissimo tempo. Ho macinato libri e articoli accademici, imparato a utilizzare software per l’analisi dei dati, preso parte al lavoro sul campo. Ora che la fase più intensa del lavoro è passata, mi sembra che sia trascorsa un’eternità, ma è stato solo l’anno scorso. Il 2019 è un anno che è stato interamente definito dal lavoro, un anno faticoso che è passato troppo in fretta, ma anche un anno in cui sono passata – e me ne sono accorta solo dopo – dall’essere una studentessa ad essere qualcosa di diverso, ancora in transizione fra un ruolo ‘adolescenziale’ e uno ‘adulto’. Di certo, indietro non si può tornare.

Il 2019 è stato anche l’anno in cui io e il mio compagno abbiamo festeggiato il nostro ottavo anniversario. La nostra relazione è evoluta negli anni che abbiamo condiviso, attraversando insieme l’adolescenza e arrivando ad essere due giovani adulti. Per questo uso la parola ‘compagno’ piuttosto che ‘ragazzo’: dopo tanto tempo, credo che il nostro legame meriti una parola più forte che renda l’idea del fatto che desideriamo trascorrere le nostre vite insieme. Il sogno, per ora destinato a rimanere tale finché non avremo finito entrambi gli studi, è di convivere e poter stare insieme ‘da adulti’, con un piccolo spazio che sia solo nostro. Non parlo volentieri di questo perché so che è un traguardo che richiederà un lavoro e un reddito prima di poter diventare concreto, ma ci siamo trovati sempre più spesso a fare progetti per il futuro e a discutere delle nostre vite in termini di impegno civico e condivisione di uno stile di vita diverso da quello delle nostre rispettive famiglie d’origine, in cui riporre tutto ciò in cui crediamo e che ci definisce. Voglio però ricordare il 2019 come l’anno dei progetti, l’anno in cui abbiamo aperto il discorso sul nostro futuro con più concretezza, piuttosto che parlarne solo come una lontana speranza.

A ottobre del 2019 mi sono iscritta alla laurea magistrale in Analisi dei Processi Sociali, sempre presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Milano-Bicocca. Questo corso di laurea è la prosecuzione di Sociologia più orientata verso i metodi e le tecniche del fare ricerca, completando la formazione più teorica della triennale per costruire la ‘cassetta degli attrezzi’ dei sociologi. Fin dall’inizio è stato chiaro che si tratta di una sfida molto più impegnativa della triennale, in cui il salto di difficoltà è netto. Ciò è evidente fin dalla numerosità delle classi: se in triennale eravamo circa in 180, ora siamo in 20. Il corso è iniziato con un lavoro a progetto che – non mi vergogno a dirlo – mi ha portata sull’orlo di un burnout emotivo, nel senso che mi sono ritrovata sopraffatta da ciò che mi era richiesto, senza tempo per dormire a sufficienza, per staccare e smaltire lo stress e la tensione accumulati, al punto che alla conclusione del progetto ero così debole e fiacca che non sono riuscita a fare nulla per giorni. Ricordare a me stessa che questo mi è successo è necessario per tenere sempre presenti i miei limiti di essere umano e la necessità di proteggermi in termini di benessere emotivo facendo attenzione alle mie scelte, perché non esiste un esame che valga il sacrificio del proprio equilibrio mentale. Novembre 2019 è stato il mese forse peggiore della mia vita, un mese in cui ho sperimentato la sensazione opprimente di non potere fisicamente mettermi a fare altro che non fosse lavorare sul progetto per quell’esame.

Fra dicembre e l’inizio di gennaio ho preparato un altro esame, mettendoci tutta me stessa. Adesso che l’appello d’esami è finito, posso dire con orgoglio di non essere indietro. Porsi l’obiettivo di fare tutto nei tempi prestabiliti non è particolarmente saggio, ma sento che al termine di questi due anni mi attendono le ‘vere’ sfide: entrare nel dottorato di ricerca e diventare una ‘vera’ ricercatrice. Voglio essere all’altezza dei miei obiettivi. Questo 2020 inizia con la consapevolezza dei traguardi raggiunti negli ultimi due anni, che mi hanno trasportata, come dicevo, in una fase diversa della vita rispetto a quando stavo studiando durante la laurea triennale. È difficile definire la differenza perché sto ancora studiando, ma sento il futuro più vicino e sento che ciò che richiedo a me stessa e che l’ambiente intorno a me mi richiede è molto di più rispetto a prima. Sento anche di non poter più pensare a me stessa solo come studentessa, ma di dover fare il punto sui cambiamenti che mi hanno portata dove sono ora e sulle loro implicazioni.

Partiamo, di nuovo, dal principio. Ci sono le cose che ho fatto, ma ci sono anche le cose a cui ho rinunciato per poter fare spazio nella mia vita e nel mio tempo a questi progetti impegnativi. La prima cosa a cui ho rinunciato per avere più tempo e più energie mentali è stare sui social network: ho dapprima disattivato e poi definitivamente cancellato il mio account Facebook. Questo ha implicato anche rinunciare a svolgere attivismo femminista su Facebook, che negli anni delle superiori e della triennale è stato una parte molto importante della mia vita, attraverso gruppi e iniziative come Il Maschilista di Merda – MDM, La Friendzone non Esiste e Doppio Standard. So di aver contribuito a costruire comunità che all’epoca in cui le ho lasciate erano floride e vitali, comunità di cui ora non so più nulla ma che mi auguro continuino a prosperare e a svolgere la loro importante funzione di luoghi virtuali di dibattito e consapevolezza, ma anche dove le persone possono trovare sostegno e comprensione senza giudizi. Un po’ mi mancano. Ma ho dovuto rinunciarvi perché la gestione quotidiana di tutte queste interazioni virtuali era logorante sul piano emotivo e veramente molto onerosa in termini di tempo: dare ascolto alle persone e discutere di temi femministi non è qualcosa che si può fare con superficialità. Ho anche sacrificato il mio tempo per scrivere su questo blog, ma questo spazio è mio e non devo, per fortuna, rispettare nessuna scadenza o quota. Distaccarmi dai social network e dalla lettura delle notizie online mi ha dato più prospettiva sugli eventi, senza sentirmi appiattita sull’attualità che scorre a una velocità insostenibile per processare ciò che succede in modo compiuto. L’unica fonte di informazioni che seguo è lo show su YouTube Breaking Italy di Alessandro Masala, che posso ascoltare al mattino in treno. Inoltre, Alessandro è molto preciso nel documentarsi, espone il suo punto di vista argomentando con dati e confronti e contestualizza sempre i fatti in scenari e prospettive più ampi, rendendo le sue puntate interessanti anche oltre l’attualità istantanea. Oltre a lui, i programmi di attualità americani Last Week Tonight con John Oliver e Full Frontal con Samantha Bee, che affrontano problemi specifici unendo rigore fattuale e comicità che mi fa ridere davvero, mi danno una prospettiva su ciò che succede negli Stati Uniti che mi rende felice di vivere in uno Stato che funziona meglio degli USA. L’Italia ha tantissimi difetti, ma gli USA sembrano un ottimo prototipo di come governare ogni aspetto della cosa pubblica nel modo peggiore possibile, invece di intervenire per rimediare a problemi strutturali come povertà e disuguaglianza.
Un’altra cosa che mi ha dato il rinunciare a seguire il flusso delle notizie giorno per giorno, istante per istante, è lo scoprire che non è imbarazzante ammettere di non essere aggiornata su tutto quello che succede nel mondo, ma è perfettamente accettabile chiedere a un’altra persona di chiarire un attimo di cosa sta parlando. Mi ha dato inoltre la possibilità di scambiare la frammentarietà dei quotidiani con l’approfondimento dei libri, il che sembra un luogo comune ma è vero: il tempo per leggere che ho a disposizione è sempre destinato a diminuire, il che significa che devo scegliere di impiegarlo leggendo libri che abbiano valore oltre la contingenza della situazione, che possano contribuire alla mia formazione, darmi conoscenze che consolidino la mia preparazione in vista del futuro a cui voglio puntare, quello del divenire ricercatrice. Oppure, leggendo narrativa. Immergersi in altri mondi non è una perdita di tempo, ma un modo di nutrire la mente e rigenerarmi: nei periodi di stress, ho sentito più forte che mai il desiderio di leggere romanzi e mi sono buttata in autori che mi hanno avvinta in storie che ho divorato e amato: Keigo Higashino, Stephen King, Andrew Peterson e Brandon Sanderson sono i quattro scrittori nelle cui storie ho riposato la mente in questo anno appena trascorso e che consiglio a tutti. Coincidenza, si tratta anche di quattro generi diversi: il giallo per Higashino, l’horror/fantasy per King, l’azione militare per Peterson e il fantasy puro per Sanderson.

Fra i buoni propositi per quest’anno, oltre a continuare sulla strada che ho scelto, c’è sicuramente impegnarmi di più nell’ambito civico e cercare di vivere in modo più sostenibile, leggere tutti i libri che attendono nella pila dei non letti, che mi guarda dagli scaffali della libreria e dallo schermo del Kindle, e in definitiva avvicinarmi, passo dopo passo, a conquistare i miei obiettivi. Forse il 2020 non sarà un anno di grandi svolte e grandi progetti come lo è stato il 2019, ma se sarà un anno di consolidamento che mi porterà più vicina a ciò che voglio raggiungere, così sia. Di certo, mi impegnerò affinché sia così.

Plus ultra!

Riflessioni sul trovare il proprio scopo

Riflessioni critiche sulla concezione dell’uomo secondo Blaise Pascal: “L’uomo non è che una canna, la più debole della natura; ma è una canna pensante. Non c’è bisogno che tutto l’universo si armi per schiacciarlo: un vapore, una goccia d’acqua basta a ucciderlo, ma, anche se l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe ancor più nobile di chi lo uccide, perché sa di morire e conosce la superiorità dell’universo su di lui; l’universo invece non ne sa niente. Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero“.

Pascal percepisce nitidamente il posto infinitesimale che l’essere umano ricopre nell’immensa complessità dell’universo, all’interno del quale l’esistenza è una continua lotta contro forze superiori alle possibilità umane, contro le quali l’individuo può solo tentare una strenua, ma precaria, resistenza, consapevole di poter venire sopraffatto da un momento all’altro.
La concezione pessimistica che il filosofo francese ha del rapporto fra l’uomo e la natura appare obsoleta di fronte alle conoscenze scientifiche e tecnologiche raggiunte dall’umanità ai giorni nostri, eppure ogni giorno la malattia, la morte e le catastrofi naturali ci ricordano che la conoscenza della natura non implica il controllo totale su di essa.

La fragilità dell’essere umano e la precarietà della sua esistenza spingono Pascal a ritenere che l’esistenza non abbia uno scopo in cui trovare la propria realizzazione e la propria felicità, ma si riduca solo alla lotta contro le forze della natura; sorretto solo dalla consapevolezza, l’uomo trova in essa l’unico conforto, l’unica dignità.

Non condivido questa visione: per me la vita è molto più di un conflitto che non possiamo vincere, e la ragione può essere utilizzata per rendere migliore la vita degli individui nella società, attraverso un impegno individuale in cui ognuno può trovare il proprio scopo. Nella riflessione di Pascal l’uomo è solo, mentre io credo, con John Donne, che “Nessun uomo è un’isola” e che nella collettività si possa trovare un ruolo in grado di dare senso all’esistenza, ad esempio aiutare chi è in difficoltà, progredire nella conoscenza dell’universo, creare una testimonianza – un’opera d’arte, una poesia, un’idea – che sopravviva nel tempo.

Ho letto da qualche parte che secondo Buddha lo scopo dell’esistenza è trovare il proprio scopo. Nella mia visione atea, non può che essere così: non c’è un’aldilà in cui le nostre azioni troveranno una ricompensa, per cui per dare significato al fatto di essere vivi abbiamo solo questa vita. Questa è la nostra unica chance. Perciò dobbiamo essere noi, come individui, a decidere qual è il nostro scopo: che cosa renda la nostra unica, irripetibile, effimera esistenza degna di essere vissuta, che cosa – quando saremo alla fine – ci renderà fieri di avere vissuto, ciò che potremo dire di aver costruito.

Trovare il proprio scopo richiede un certo lavoro su di sé: il primo passo è capire in cosa si è bravi, qual è il proprio talento, e poi come metterlo a frutto per creare qualcosa. Nella mia personale etica, “creare qualcosa” significa fare qualcosa di utile per la società, cioè impegnarsi per rendere il mondo un posto leggermente migliore per chi verrà dopo di noi. Sono stata cresciuta con un’altissima coscienza civile, nutrita dall’aver constatato fin troppo spesso che se non faccio io qualcosa, non lo farà nessun altro. Vale per le piccole cose, come il raccogliere i rifiuti sui margini delle strade o lungo i sentieri nei boschi, ma vale anche per l’impegno sociale in generale. Quando ho aperto questo blog, a 16 anni, volevo un posto dove raccogliere le mie riflessioni, ma anche dove tenere traccia del mio impegno femminista, impegno che negli anni ha trovato altre direzioni: la causa della scienza, della lotta perché il metodo scientifico e i suoi risultati siano la guida delle decisioni politiche laddove è possibile (parliamo quindi di vaccini, ricerca scientifica basata sulla sperimentazione animale, ma anche politiche sociali che tengano conto delle analisi fatte da sociologi ed economisti) e la causa della difesa e valorizzazione dei beni culturali in Italia. Penso che si possa dire che tutto quello che faccio, lo faccio perché lo ritengo giusto e utile.

La scelta di studiare Sociologia come laurea triennale è stata dettata da un bruciante bisogno di conoscenza sulle questioni sociali, che avendo fatto il liceo scientifico sono state completamente trascurate negli anni della mia adolescenza dalla mia formazione “ufficiale”, ma a cui mi ero avvicinata nel tempo libero. La scelta di fare invece Scienze del Turismo e dello Sviluppo Locale come magistrale è stata orientata da un altro obiettivo: avere le competenze per costruirmi una professione che mi consenta di essere utile alla società. Come avrete immaginato se leggete il mio blog, credo che questa strada sia quella del lavorare al patrimonio culturale italiano, impegnandomi perché attraverso la cura e la valorizzazione diventi un veicolo di sviluppo per il territorio. Al contempo, non voglio smettere di perseguire le altre cause che mi stanno a cuore. Sono certa di possedere le competenze che mi consentiranno di coniugare le due cose, attivismo e professione.

Sono partita da Pascal perché il commento a quell’aforisma del filosofo francese era un vecchio compito di filosofia al liceo. Non ho mai capito perché la constatazione del fatto che siamo vulnerabili e sperduti in universo immenso e sconosciuto debba condurre alla disperazione o al senso di impotenza. Basta guardare il mondo a una scala più piccola e si vede quanto davvero possiamo fare per cambiare le cose. Naturalmente, mi rendo conto che tutto questo presuppone un’etica orientata all’altruismo, nonché la convinzione che cambiare le cose sia possibile e giusto. Ma l’egoismo indifferente è inconcepibile, per me. Così, ho trovato le mie risposte e una visione che reputo ormai chiara e consolidata, almeno a me stessa, di quello che è il senso della vita, fra altruismo, conoscenza, impegno civile.
Non sarà un granché, ma sono fiera delle mie risposte.