Consigli di non lettura: “Il sesso del terrore” di Susan Faludi

Negli ultimi anni, la produzione di saggistica femminista è aumentata in modo considerevole, dando origine a una fertile nicchia di mercato dove è possibile trovare ogni genere di opera scritta con una prospettiva femminista, dalla critica letteraria ai libri di poesia (Eve Ensler, Rupi Kaur, Joumana Haddad, per esempio), dalle biografie (Roxane Gay), ai romanzi (Margaret Atwood, Naomi Alderman), passando per i libri per bambine/i per arrivare alle analisi che attingono agli studi di genere, e alle scienze sociali più in generale, per spiegare aspetti specifici dell’oppressione femminile in un sistema sociale patriarcale e androcentrico. Molte di queste opere sono di altissimo livello intellettuale e di grande rigore scientifico, ma è altrettanto vero che in tutti i generi e in tutte le nicchie ci sono anche opere di minore valore e/o rilevanza, e che il tempo per leggere è limitato, specie quando si tratta di saggi.

In questo periodo della mia vita sto leggendo molto per un progetto di ricerca in università di cui vi parlerò quando sarà concluso: vi basti sapere, per ora, che si tratta di un lavoro sugli studi di genere per il quale ho dovuto e devo macinare una grande quantità di libri e articoli accademici per poter costruire, insieme al resto del gruppo di ricerca, un background teorico esteso e approfondito in cui collocare il nostro contributo. Parallelamente ai testi che mi è richiesto di leggere, ho acquistato altri volumi approfittando della sezione outlet di una nota libreria online italiana, in cui periodicamente i titoli sono scontati dal 65% al 70%. Il mio obiettivo era di ampliare la mia formazione personale e trovare spunti utili da collegare al lavoro in corso, in modo da non restringere troppo il focus sull’argomento specifico. Questo significa procedere un po’ “a tentoni”, senza sapere se e come un libro si potrebbe rivelare utile e interessante, un’esperienza che sarà familiare a chiunque abbia dovuto scrivere una tesi o un elaborato che richiede una bibliografia piuttosto consistente: per trovare i testi adatti a fare da fonti, bisogna leggere anche testi che alla fine si rivelano inutili o solo marginalmente utili.

Scrivo quindi per presentare un libro che sconsiglio di leggere a chiunque sia alla ricerca di teoria femminista, o comunque di un buon saggio femminista con cui ampliare le basi teoriche del proprio attivismo o la propria cultura personale. Si tratta di un libro, come spiegherò, estremamente specifico e che, ritengo, può risultare utile e interessante solo per coloro che hanno un interesse di ricerca rivolto allo stesso specifico argomento trattato dall’autrice. Il libro è Il sesso del terrore. Il nuovo maschilismo americano (2007) e l’autrice è Susan Faludi.

Il libro viene presentato come il ‘seguito’ di Backlash, un’opera chiave del femminismo in cui Faludi dimostra l’esistenza di un contrattacco reazionario deliberato, da parte delle forze sociali conservatrici, contro le conquiste della seconda ondata femminista degli anni ’70, a partire dagli anni ’80 e proseguendo verso i ’90. Premetto di non aver effettivamente letto Backlash, ma si tratta come dicevo di un’opera che viene ripresa in molte altre trattazioni relative a femminismo e studi di genere perché contribuisce a spiegare come il processo di emancipazione femminile abbia rallentato, dopo l’insorgenza rapida e travolgente degli anni ’70, e come la conversazione culturale sulle questioni di genere sia cambiata dopo quel decennio. Ne Il sesso del terrore Faludi documenta un altro cambiamento per lei cruciale nella conversazione collettiva americana sulle questioni di genere: quello avvenuto dopo l’11 settembre, in seguito ai tristemente noti attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono. La tesi del libro è che i media americani di ogni orientamento e i politici conservatori abbiano fatto ricorso a schemi di genere tradizionali per trovare un senso agli eventi che hanno sconvolto la coscienza della nazione, costruendo una narrazione in cui le donne erano le vittime e gli uomini gli eroi (sebbene gli uomini fossero sconvolti e traumatizzati dagli attentati tanto quanto le donne, e tutti, inclusi i soccorritori, fossero vittime dello stesso senso di impotenza e terrore di fronte a un evento imprevedibile e inarrestabile). In altre parole, per metabolizzare il trauma gli Stati Uniti, secondo Faludi, non hanno scelto di guardarlo in faccia e accettare la vulnerabilità della nazione, ma si sono rifugiati in un immaginario tradizionale fatto di una virilità stoica, violenta e protettrice (quella dei cowboy contrapposti agli indiani) che per esistere ha bisogno di avere come contraltare una femminilità debole, spaventata, incapace di reagire (quella delle fanciulle rapite).

Il libro è diviso in due sezioni: nella prima, che occupa oltre metà del volume, si descrive dettagliatamente la conversazione collettiva post-11 settembre, mentre nella seconda si rintraccia l’origine degli schemi di genere rinvenibili in quella conversazione nell’epoca delle guerre indiane, combattute nel ‘600 e nel ‘700 dapprima dai coloni inglesi puritani e poi dai cittadini dei neonati Stati Uniti d’America, dopo l’indipendenza. La prima parte è la più ampia e si articola in differenti capitoli, ognuno dei quali documenta uno specifico aspetto di quella conversazione collettiva, attingendo ad articoli di giornale e citazioni di programmi televisivi come fonti principali, ma includendo anche dichiarazioni di politici, stralci dagli interrogatori della commissione d’inchiesta sull’11 settembre, post sull’Internet, ecc. Gli aspetti affrontati dai vari capitoli sono: la narrazione dell’11 settembre come un atto di guerra nei confronti dello stile di vita americano e delle famiglie americane; la celebrazione dei soccorritori e delle forze dell’ordine come veri e propri supereroi; il paragone con i cowboy; la narrazione delle sopravvissute e delle vedove come ‘vestali’ del dolore; la narrazione della nazione come intenta a medicare le proprie ferite con un ritorno al matrimonio, allo stare a casa a curare i figli, al fare figli; la narrazione della virilità del presidente George W. Bush e di quella dello sfidante alle presidenziali del 2004, John Kerry; la storia della soldatessa prigioniera di guerra Jessica Lynch, che nonostante fosse, seppur catturata dal nemico, assistita in un ospedale iracheno nelle migliori condizioni possibili, fu descritta come prigioniera dei fedayn, vittima di torture e stupri e salvata da un’operazione militare eroica. Nella seconda parte del libro, che occupa poco più di un centinaio di pagine a fronte delle oltre 200 della prima, si ricostruisce l’origine del ‘mito’ nell’epoca delle guerre indiane, attingendo a fonti storiche come la narrativa di prigionia (biografie e romanzi scritti soprattutto da donne che, catturate dagli indiani, vissero con loro a volte per decenni prima di essere ‘salvate’ e di ritornare alle comunità bianche) e le successive modificazioni che questi testi subirono man mano che gli ideali puritani tramontavano in favore di una società più combattiva, meno disposta ad accettare le privazioni e i tormenti come prove da sopportare per mostrarsi degni di fronte a Dio. In queste modificazioni, la figura centrale non è più la donna che, fortificata dalla fede, si ricostruisce una vita nelle tribù indiane, ma l’uomo che combatte per salvare moglie e figli dagli indiani, sempre più descritti come selvaggi stupratori demoniaci (in mezzo, ci sono anche i processi alle streghe di Salem del 1692, in cui furono uccise soprattutto donne indipendenti e benestanti, che gestivano patrimoni e proprietà senza dipendere da uomini). Specularmente, le figure femminili in queste narrazioni diventano sempre più donne-bambine, vulnerabili, incapaci di difendersi da sole, innocenti e ingenue, su cui incombe la minaccia dello stupro come suprema umiliazione.

Perché sconsiglio questo libro? In ultima analisi, per le motivazioni esposte a inizio dell’articolo: come attiviste/i, il tempo da dedicare alla nostra formazione è sempre poco, e questo vale anche per chi studia o fa ricerca e quindi può confrontarsi con una grande quantità di letteratura scientifica. Ritengo quindi che dobbiamo scegliere quali sono le opere la cui lettura può essere un arricchimento, una fonte di stimoli per capire meglio noi stessi e la situazione in cui ci troviamo, e quali invece sono le opere che in ultima analisi possono essere ‘sacrificate’ alla mancanza di tempo perché meno rilevanti. Credo che il libro di Faludi rientri in quest’ultima categoria: esso è una ricognizione estremamente rigorosa e approfondita di una specifica conversazione culturale in uno specifico momento della storia americana recente, che tuttavia è già superato (e probabilmente lo era già nel 2007 quando il libro è stato scritto). Ammiro molto il rigore con cui Faludi ha documentato l’oggetto del suo lavoro e la quantità di fonti su cui esso è basato è così ampia che la sua tesi è inconfutabile, sia nel descrivere la reazione della cultura americana all’11 settembre in ottica di genere, sia nel rintracciarne le origini all’epoca delle guerre indiane e dei successivi slittamenti culturali che, dalla seconda metà del ‘600 all’epoca vittoriana, hanno cancellato la forza delle pioniere sorrette dalla fede che hanno costruito l’America insieme agli uomini per sostituirle, nell’immaginario collettivo, con ragazze pudiche e fragili di fronte a cui gli uomini potevano ergersi come protettori e salvatori di fronte alla minaccia di altri uomini, uomini selvaggi e stupratori. Ma il rigore non basta: in ultima analisi, il libro resta racchiuso nei confini della tesi che intende dimostrare e non va oltre nel dare un contributo che possa essere ricordato nella teoria femminista e nella formazione di una femminista, perché è troppo settoriale, troppo specifico.

Sapere che questo è successo può aiutarci a vedere lo stesso meccanismo all’opera in altre narrazioni, questo è vero. Ma ritengo che leggere le 390 pagine di quest’opera sia uno sforzo che la maggior parte di noi si può risparmiare, se non è mossa da un interesse ardente per l’approfondimento di questo specifico meccanismo (buon per voi!) o da un interesse di ricerca relativo specificamente all’11 settembre e/o alle narrazioni coloniali dell’epoca delle guerre indiane. È vero che la vita è troppo breve per leggere brutti libri, ma ci sono casi in cui è altrettanto vero che la vita è troppo breve per leggere libri poco rilevanti nell’ottica dell’attivismo e della formazione femministi. Non per questo ritengo il libro privo di meriti.

Un’ultima nota conclusiva sulla traduzione italiana: il titolo originale dell’opera è The Terror Dream, “Il sogno del terrore”, un riferimento a una citazione di Alan Le May in cui si descrive il terrore primordiale che paralizza un uomo, un’esperienza che lo riporta a un incubo vissuto da bambino e allo stato di completa impotenza, di completa mancanza di controllo, che solo gli incubi più vividi possono dare. Ora, già il fatto di dover spiegare questo riferimento significa che quello originale non è un buon titolo, ma la traduzione italiane è peggio: qual è il sesso del terrore? Sono le donne, perché vengono raccontate come le vittime, le sole a vivere il terrore primordiale di cui parla Le May mentre gli uomini, eroici e risoluti, fanno voto di proteggerle e vendicarle? O sono gli uomini, che reagiscono a quel terrore primordiale rifugiandosi nel mito di una virilità inscalfibile perché anche loro hanno vissuto la paura, il dolore e la vulnerabilità derivanti dagli attacchi terroristici? Non c’è una risposta a questa domanda, perché non era nelle intenzioni dell’autrice porsela. Questa domanda deriva solo da una pessima scelta di traduzione. Il sesso del terrore non è un’espressione che compare nel libro, nemmeno una volta. Se il titolo originale non si poteva tradurre letteralmente perché Alan Le May non è un autore noto in Italia, perché non sceglierne uno completamente diverso ma almeno dotato di senso in riferimento all’argomento del libro?

La traduttrice è senz’altro preparata, ma è chiaro che le manca qualcosa per tradurre l’inglese americano più colloquiale, i modi di dire giornalistici e i giochi di parole presenti nei titoli in alcuni casi sono stati tradotti in modi che mi hanno fatto pensare che una traduzione migliore fosse palese. L’esempio più calzante è a pag. 178, dove Jack-o’-Lantern, il nome inglese della zucca di Halloween incisa per formare un volto e illuminata dall’interno con una candela. Nell’edizione italiana è diventata misteriosamente “Gianni il Lanternino”. Come diavolo si fa a non sapere cos’è un Jack-o’-Lantern? Queste cose sono nelle filastrocche per bambini, si imparano alle elementari quando si studiano i vocaboli relativi alla festa di Halloween! E se proprio, una breve ricerca su Wikipedia toglie qualsiasi dubbio. Ma soprattutto…qualcuno ha mai sentito parlare di Gianni il Lanternino? Scrivetemi nei commenti se sapete chi è.

In conclusione, errori di traduzione e scelte sbagliate a parte, Il sesso del terrore è un testo di saggistica molto rigoroso, molto ben documentato, ben scritto e che contiene informazioni che possono risultare interessanti per chi volesse approfondire gli specifici argomenti di cui tratta il testo, ma che ritengo non arricchisca in modo significativo la formazione generale di una persona interessata alla teoria femminista. In un momento in cui il panorama editoriale relativo ai temi di genere e femministi è sempre più vasto e in cui arrivano in Italia grandi contributi non solo nelle collane scientifiche ma anche rivolti a un pubblico più generalista, per me una cernita si impone: non possiamo leggere tutto, ma dobbiamo ‘specializzarci’ anche nella nostra formazione personale, nel nostro tempo libero. Questo è il motivo per cui faccio le mie raccomandazioni, in positivo o – in questo caso – in negativo.

E ora, cosa farò del libro? Lo donerò alla biblioteca civica del mio paese, in modo da metterlo a disposizione di tutti coloro che possano averne bisogno. Il fatto che sia stato un acquisto ‘sbagliato’ per me non significa che non possa essere utile o interessante per altri, anzi: questo è ciò che mi auguro.

10 pensieri su “Consigli di non lettura: “Il sesso del terrore” di Susan Faludi

  1. Lo sapevi che tanto tempo fa Winnie The Pooh era tradotto in Italia come l’orsacchiotto Ninni Puf? Questo accadeva prima che Disney ne acquistasse i diritti negli anni Sessanta per farne il personaggio di cartoni animati. Ecco, Gianni il Lanternino è una vecchia traduzione di Jack-o’-lantern, che poi è stata messa da parte, proprio come Ninni Puf.

    • No, non ne avevo idea!
      Grazie della precisazione. Credo comunque che si tratti di una traduzione infelice, perché ormai tutti siamo così impregnati di cultura pop da sapere cos’è un Jack-o’-Lantern, ma questo fatto di Gianni il Lanternino mi sembra piuttosto oscuro. Se hai una fonte, posso inserire l’informazione nella voce della Wikipedia italiana relativa appunto al Jack-o’-Lantern.

  2. Per gli USA l’11 settembre è stato un durissimo colpo, fu la prima volta che furono colpiti nel proprio territorio dall’attacco giapponese a Pearl Harbor del 1941, solo che in quel caso si parlava di un azione militare contro una base aeronavale, condotto da uno stato/impero, mentre qui di un azione terroristica fatta appunto da terroristi, che porto la morte nel cuore dell’america.
    Quando una nazione subisce un colpo del genere, diciamo che in genere cerca di rimanere unita e di non cambiare, cerca di aggrapparsi al presente e ai suoi valori, e non vuole metterli in discussione, e alle volte si cerca anche di guardare al passato.
    Del resto quando l’america fu attaccata nel 1941, il discorso di Frankie Delano Roosevelt rimase nella storia, e fu un momento in cui l’opinione pubblica americana si stringe tutta attorno a lui, del resto fu anche uno dei motivi che lo porto a governare per 13 anni di fila, ovvero fino alla morte, (all’ epoca non c’era il limite di due mandati per i presidenti USA).
    Sicuramente l’america è stata costruita grazie sia agli uomini che alle donne, ma all’epoca sopratutto per la forte religiosità, il loro contribuito non è stato valorizzato e tramandato nella storia diciamo cosi.
    Sia gli uomini che le donne sono esseri umani, ed escludendo il discorso fisico, se parliamo di forza mentale, ci possono esseri uomini e donne forti, e uomini e donne deboli, ma il maschilismo e il sessismo hanno sempre negato questa ovvia realtà, e purtroppo per molto tempo anche gli scienziati hanno fatto cosi.

    • L’11 settembre è stato un trauma nella coscienza collettiva di tutto il mondo occidentale, anche perché è sopraggiunto pochi anni dopo la fine della Guerra Fredda, quando si pensava che l’Occidente avesse consolidato un ruolo di leadership culturale nel mondo tale da permettere di costruire un orizzonte basato sul progresso. L’etnocentrismo ci ha portati a ‘dimenticare’ il Medio Oriente e la cultura islamica, portatori di una visione del mondo che nelle sue versioni radicali è ancora più in opposizione a quella occidentale di quanto non lo fosse il comunismo sovietico, che perlomeno condivideva con l’Occidente una serie di valori (la laicità, l’uguaglianza, ecc.) ma dissentiva sul tipo di società da realizzare per attuare questi valori (le degenerazioni rispetto ai principi che si sono verificate nella Storia in questo momento le metto da parte).
      Non è giustificare il terrorismo dire che esso è nato dalle ceneri degli errori americani in termini di geopolitica nel Medio Oriente. Mi domando spesso cosa sarebbe accaduto se l’Occidente avesse iniziato a studiare e comprendere il complesso puzzle geopolitico/religioso/culturale del Medio Oriente PRIMA di iniziare a pasticciare con le diverse fazioni in lotta, considerandolo solo un altro settore della scacchiera della Guerra Fredda.
      Quello che Faludi contesta in questo libro, e io sono d’accordo con lei, è che ricorrere al copione del guerriero che protegge le donne indifese e i bambini non era l’unico modo per unire gli Stati Uniti dopo l’attacco. Ci si può unire come una nazione di cittadini in cui ognuno è chiamato a fare la sua parte con senso del dovere e capacità, per esempio. Però in quel momento l’America aveva un governo conservatore che ha sfruttato la tragedia per inquadrarla in una lettura tradizionale dei ruoli sociali di uomini e donne, come se il senso di sicurezza potesse venire solo dal ritornare a un passato familiare.

      • Si per esempio durante la seconda guerra mondiale si uso un altro copione, le donne venivano usate nelle fabbriche, in quel epoca nacque un famoso volantino, che poi venne ripreso dalle femministe se non erro, c’erano anche donne pilota, anche se non erano a combattere in prima linea.
        Fu anche un momento dove furono fatti alcuni piccoli passi, per avvicinare bianchi e neri, e ci furono i primi afroamericani che presero medaglie al valore.
        Si ci sono vari metodi per unire una nazione durante un momento di emergenza/crisi, da una parte è normale che il popolo si stringa di fronte al leader del governo, e al governo stesso, questo è abbastanza normale, dato che si vuole un punto fermo, per superare la crisi, durante una crisi è quasi scontato l’aumento di popolarità del governo, che non è proprio una popolarità politica, ma di altro tipo, anche se non riesco a spiegarlo bene, è più fiducia e bisogno di essere rassicurati, piuttosto che di fiducia politica.
        Che poi nel 2001, nell’esercito c’erano molte donne, quindi quel messaggio era fuori tempo massimo, che poi nell’amministrazione Bush c’era una donna come Condoleezza Rice, di certo non una donna debole, o che aveva bisogno di essere protetta.

      • Era un messaggio fuori tempo massimo, e come noti non era neanche l’unico possibile proprio perché i precedenti storici delle due guerre mondiali avevano mostrato la possibilità della solidarietà nazionale attraverso la collaborazione in cui ognuno faceva la propria parte. Un po’ come adesso, in cui rispettando le regole e con le nostre donazioni stiamo supportando il Paese pur non potendo, nella maggior parte dei casi, agire in prima persona.
        Il governo Bush fece una scelta, in merito alla cornice con cui organizzare la risposta degli USA all’attentato in termini psicologici, non perché fosse la scelta giusta, ma perché quella scelta rafforzava la visione del mondo dei conservatori e creava capitale politico a loro favore. Susan Faludi sottolinea come le storie individuali di donne che hanno scelto di lasciare il lavoro (incluso un membro dell’amministrazione Bush stessa) e/o di avere figli nelle settimane successive all’attentato siano state lanciate dai media come se fossero segnali di una tendenza desiderata dalle donne stesse, quando invece erano solo eccezioni. Le donne che invece hanno fatto la scelta opposta non hanno ricevuto nessuna copertura speciale. Semplicemente, si VOLEVA che la narrazione di una nazione in cui le donne impaurite trovano conforto nella forza degli uomini e nei ruoli di genere tradizionali funzionasse.

  3. Senza considerare che poi quando pensiamo hai leader conservatori più importanti del XX secolo, insieme a Reagen , c’è pure una donna, ovvero la Thatcher, detta la Lady di Ferro.

    • Che odio, Margaret Thatcher. Una donna che considerava la sua stessa ascesa al potere come la parola definitiva sulla questione femminista, che si rifiutava di vedere i problemi nella loro dimensione sociale e collettiva, e che ha quasi devastato un sistema di politiche sociali che il Regno Unito aveva costruito a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Certo, nel Regno Unito i danni del frame neoliberista sono stati molto meno pronunciati che negli Stati Uniti (dove tutt’ora l’idea di tassare i ricchi in misura progressiva rispetto al reddito, che da noi è un principio costituzionale, appare inaccettabile per buona parte della società). Ma si è sempre detto che non basta essere una donna per essere a favore delle donne, e la Thatcher è la personificazione di questo principio.

      • Si concordo con te, sugli USA, la pandemia sta dimostrando quanto il loro sistema economico,sociale e sanitario non vada affatto bene, vedere in un paese che dovrebbe essere la prima potenza mondiale, le fosse comuni per i poveri, fa molto male…

      • Vedere i medici che vanno al lavoro con maschere da sub, costumi di Halloween e altre protezioni improvvisate (li ho visti nella serie di video che lo show Last Week Tonight di John Oliver sta dedicando a coprire la situazione Covid-19), e nonostante tutto mettono nel loro lavoro tutta la determinazione possibile, mi riempie di tristezza e di rabbia. Trump appare un uomo davvero misero di fronte all’ampiezza e alla gravità della situazione, e tutto ciò che dice sembra rumore di fondo. Per quanto il governo Conte non sia il governo perfetto, io non mi sono sentita abbandonata dallo Stato, mentre invece sembra che negli Stati Uniti le persone provino una stanchezza profonda verso il fatto che le cose vanno male, e non ci sia la forza d’animo che deriva dal sentirsi parte di una comunità che ti sostiene e ti protegge.

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