Risparmiare e vivere in modo più sostenibile: i miei piccoli passi

Nel corso dell’ultimo anno, dopo essermi laureata in Sociologia, ho avuto l’opportunità di ricevere una borsa di ricerca e quindi di avere un piccolo, ma significativo, reddito personale superiore alle poche centinaia di euro dei lavoretti occasionali con i quali, negli anni scorsi, mi sono pagata le vacanze e qualche piccolo sfizio personale. Avere a disposizione più soldi significa anche, per me, pensare alle mie responsabilità come consumatrice e spenderli in modo consapevole e attento, sia dal punto di vista della sostenibilità dei miei consumi, sia dal punto di vista del risparmio. Ovviamente, il fatto che io non abbia delle entrate costanti nel tempo implica che la mia priorità sia risparmiare per il futuro, ma risparmiare non è solo una questione di non spendere, ma anche di spendere in modo ragionato. Vi propongo perciò una lista di piccole scelte in grado di produrre cambiamenti positivi sia per l’ambiente che per il portafogli, che sono alla portata di tutti. So che i grandi problemi ambientali che stiamo vivendo a livello planetario richiedono soluzioni ben più drastiche e su larga scala rispetto al cambio delle abitudini dei singoli consumatori, ma una cosa non esclude l’altra.

  1. Comprare meno libri cartacei
    Io sono una di quelle persone che per studiare ha bisogno di avere un libro cartaceo e un evidenziatore (rigorosamente giallo) per riuscire a concentrarsi sul testo, e questo significa che ho comprato in dead tree edition (edizione libro morto, un’espressione americana per definire il cartaceo) tutti i miei libri universitari. Ma la grande quantità di materiale in pdf fornita dai professori, fra slide, riassunti e articoli accademici, mi ha spinta a comprare un Kindle, perché leggerli sullo schermo del computer mi faceva bruciare gli occhi. Da allora ho iniziato a comprare parecchi libri in ebook, e mi sono trovata splendidamente. La mia regola è di acquistare un libro solo se so che mi piacerà o per supportare l’autore/autrice, con qualche eccezione per le offerte lampo. Anche i libri che mi è stato richiesto di leggere per la ricerca li ho acquistati in edizione Kindle, il che ha reso molto più semplice andare alle riunioni con tutto il materiale accessibile. Un altro vantaggio è la facilità di trovare libri che non sono stati tradotti in italiano e forse non lo saranno mai. Ad esempio, mi sono innamorata dei gialli dell’autore giapponese Keigo Higashino dopo averne trovato uno in un punto di bookcrossing alla mia stazione ferroviaria, e grazie al mio sistema bibliotecario sono riuscita a leggere tutti quelli che sono arrivati in Italia, ma gli altri li sto comprando in inglese su Amazon.
    E, parlando di sistema bibliotecario, la biblioteca del mio paese è parte di una rete nata dalla fusione di due reti territoriali confinanti, quella del Vimercatese e quella di Milano Est. La fusione ha portato a un catalogo complessivo di più di un milione di titoli, perciò ho una quasi certezza di poter trovare tutto quello che voglio leggere. Ricorro alla biblioteca per quasi tutta la narrativa, libri che so che leggerò una volta ma che non ho interesse a tenere, per i saggi più vecchi che non hanno mai ottenuto un’edizione digitale e per quelli sulla cui utilità sono in dubbio, il che significa per praticamente tutto quello che leggo nel tempo libero.
    Un’eccezione sono le offerte della sezione outlet di ibs.it, dove scavando un po’ si possono trovare titoli non nuovissimi scontati del 65% o del 70%: si tratta di libri il cui prezzo viene abbattuto nella speranza di venderli prima che siano ritirati dal mercato, fra cui ho trovato anche parecchia saggistica di spessore. Il lato negativo è dover passare ore a sfogliare letteralmente migliaia di titoli, ma può valere la pena perdere un pomeriggio noioso per trovare libri che possono dare grandi soddisfazioni.
  2. Andare alla casetta dell’acqua
    Il comune in cui abito ha installato, ormai un paio d’anni fa, un distributore di acqua microfiltrata, disponibile sia naturale che frizzante a 0,05€/litro, e per incentivare i cittadini a usarlo ha regalato una tessera con un credito di due euro per ogni cittadino residente, il che significa che la mia famiglia ne ha avute tre. Questo significa 120 lt di acqua gratis, con l’unico “inconveniente” di doversi recare al distributore con delle bottiglie da riempire. Mi sono assunta io l’incarico nel corso dell’estate, zaino in spalla, approfittando del fatto di lavorare da casa, e con i miei abbiamo acquistato un certo numero di bibite in bottiglie di vetro per poterle riutilizzare, arrivando progressivamente a un “parco” di sei bottiglie di vetro e due borracce di alluminio, che ovviamente continueremo a usare anche quando le tessere saranno esaurite. Fuori dall’università, a Milano, c’è un distributore simile, gratuito, che funziona con la tessera sanitaria e ha un limite di sei litri a tessera al giorno, ed è frequente vedere i muratori dei cantieri vicini venire a rifornirsi con fardelli interi di bottiglie. Aumentando le possibilità di fruire di una risorsa già esistente, l’acqua degli acquedotti comunali, le casette dell’acqua consentono ai cittadini di risparmiare e di consumare meno plastica, favorendo l’adozione di uno stile di vita sostenibile grazie alla comodità.
  3. Comprare un lunch box e una borraccia in alluminio
    Le tradizionali schiscette sono tornate di moda e hanno acquisito un nome inglese, ma la vera domanda è: perché mai portarsi il pranzo da casa è diventato impopolare? Non ha alcun senso, in effetti, e la ritrovata popolarità delle bento box (per i fan del Giappone), significa che anche le persone per cui portarsi il cibo da casa poteva essere imbarazzante – io sono stata fra queste, prima di rendermi conto del perché lo trovassi imbarazzante – possono sfoggiare una scatola in plastica rigida, lavabile e riscaldabile al microonde. La mia università, fra l’altro, mette a disposizione degli studenti dei forni a microonde nelle aree studio. Prevedo che andare alla mensa scolastica o prendere dello street food nei negozietti attorno all’università diventerà per me un’eccezione, piuttosto che la regola, durante la specialistica, e credo che cercherò di annotare il risparmio derivante dal rinunciare a mangiare fuori. Insieme alla borraccia in alluminio, mi permetteranno di rinunciare completamente alle confezioni usa e getta di plastica o di carta, fosse anche solo il sacchettino in cui è avvolta una piadina.
  4. Riutilizzare la carta per appunti
    Mio fratello ha finito le superiori quest’anno, il che significa che ha buttato via tutti i suoi vecchi quaderni. Abbiamo organizzato una giornata di pulizia e decluttering (una parola che significa letteralmente ‘sgombrare’, ma ha assunto il significato di ‘buttare via le cose che ingombrano la nostra vita’, quindi un riferimento più specifico a quegli oggetti che teniamo senza che ci servano o ci piacciano veramente) e abbiamo strappato e conservato tutte le pagine che avevano almeno una facciata bianca, che diventeranno fogli per appunti. Lo stesso vale per tutti i volantini che l’associazione di volontariato di cui sono parte stampa o riceve, volantini che diventano inutili quando gli eventi che pubblicizzano sono passati. Mia madre sta tutt’ora annotando le liste della spesa sui volantini di un festival musicale locale del 2017. Purtroppo, quando si stampa è facilissimo restare intrappolati nelle economie di scala, per cui il costo della stampa per unità diminuisce in modo significativo all’aumentare della tiratura, ed è frequente che si stampino ben più volantini di quelli che basterebbero. La carta, inoltre, è una risorsa che costa davvero pochissimo, un costo che non rispecchia il suo reale valore, che dovrebbe includere le esternalità positive che gli alberi rappresentano per il pianeta, cioè il beneficio per la collettività della loro produzione di ossigeno, del loro effetto di mitigare la temperatura, del ruolo di “trappole di anidride carbonica” che viene invece liberata quando vengono bruciati. Riciclare la carta è sicuramente cruciale, ma consumarne di meno lo è altrettanto. Oltre ai fogli sparsi per appunti, i pezzi di quaderno inutilizzati – ad esempio, quando solo poche pagine sono state scritte e il resto del quaderno è vuoto e ancora fermato dai punti, quindi non si tratta di fogli volanti – diventeranno i miei quaderni per la specialistica. Perfino la mia agenda è un diario di mio fratello su cui lui aveva scritto praticamente solo durante il mese di settembre! Quando ci si sofferma a pensare a quanta carta inutilizzata circola attorno a noi, diventa impossibile non notarla. Impossibile.

Questi sono solo gli esempi più significativi del mio tentativo di vivere in modo più ecosostenibile e più saggio dal punto di vista finanziario, rinunciando a piccole spese (cibo, quaderni, libri, acqua in bottiglia) per il semplice fatto che esistono alternative praticabili con poco sforzo in più. Non mi illudo che queste alternative facciano la differenza da sole, e so bene che sono il prodotto di opportunità messe a disposizione dalle circostanze in cui vivo e quindi non accessibili a tutti allo stesso modo. Tuttavia, spero che possano essere un utile stimolo anche per riflettere sulle opportunità che ognuno ha a disposizione nel proprio contesto per fare dei piccoli cambiamenti che, anche se non in modo evidente, riverbereranno in modo positivo attorno a noi. Un motto valido in ogni circostanza per riflettere sul proprio impatto come consumatori è: Buy less, Choose well, Make it last, ovvero compra di meno, scegli con attenzione, fai durare i prodotti che compri. Credo che, in modo diverso per ognuno di noi, queste strategie siano accessibili a tutti e possano aiutarci a ridefinire il nostro approccio verso il consumo.

La responsabilità collettiva del popolo tedesco e le voci della cultura antinazista in Italia

Siamo giunti alla terza parte del settimo capitolo del saggio di Filippo Focardi, Il cattivo tedesco e il bravo italiano. Nella puntata precedente abbiamo affrontato il tema delle testimonianze dei sopravvissuti ai campi di concentramento e della ricerca dell’”altra Germania”, che sarà ulteriormente sviluppato qui, parlando del crollo della fiducia nell'”altra Germania” da parte della classe dirigente e intellettuale antifascista italiana e della conseguente impossibilità di separare il regime nazista dal popolo tedesco.

La fiducia nell’«altra Germania» e la correlata critica del principio della colpa collettiva si era associata nell’antifascismo italiano a un atteggiamento nettamente contrario a un trattamento vendicativo nei confronti della Germania. […] Progetti draconiani che prevedevano lo spezzettamento del territorio tedesco in più Stati e la sua radicale deindustrializzazione, che sembrarono trovare appoggio fino alla conferenza di Yalta da parte delle grandi potenze alleate, suscitarono viva riprovazione in seno alle élites culturali e politiche dell’antifascismo italiano e furono sostenuti solo dai settori monarchico-conservatori. […] Esponenti del Partito d’azione, quali Riccardo Bauer ed Ernesto Rossi, sottolinearono con forza il ruolo cruciale che una futura Germania avrebbe avuto per la costruzione di un’Europa federale pacifica, democratica e prospera. «L’Europa ha bisogno della Germania», scriveva già nel maggio 1944 Ernesto Rossi, che poi aggiungeva: «fare del popolo tedesco un nuovo popolo maledetto, mantenerlo diviso, nella soggezione e nella miseria, equivarrebbe a porre una polveriera nel centro dell’Europa»”, approfondisce Focardi, che tuttavia nota che tale fiducia “cui si legava la perorazione di una pace costruttiva per i tedeschi, non era però una fiducia incondizionata. Essa dipendeva infatti dall’effettiva capacità che i tedeschi avrebbero dimostrato di seguire la strada dell’Italia e di insorgere contro «il tiranno». L’attesa del riscatto germanico crebbe in tutto l’antifascismo con l’approssimarsi del crollo del Reich, ritenuto imminente a partire dal marzo del 1945, allorché gli eserciti alleati, penetrati in Germania, mossero con forze preponderanti l’assalto finale. Non avvenne però niente di quanto si era sperato. Le notizie provenienti dalla Germania non solo negavano l’attivazione di qualsiasi processo di resistenza al nazismo, ma anzi dipingevano un paese che faceva blocco attorno al Führer e alle forze armate in un atto di inutile quanto rabbiosa difesa a oltranza. […] Ciò causò un forte sbandamento e un profondo ripensamento all’interno dell’antifascismo italiano. Già all’inizio di aprile Palmiro Togliatti, intervenendo a Roma al secondo Consiglio nazionale del PCI, constatava con apprensione «l’assenza della classe operaia tedesca nel fronte della lotta per la libertà», motivo per cui si apriva un pericoloso «vuoto in Europa». […] L’immobilismo del popolo tedesco e anzi la fanatica difesa opposta agli Alleati spiccarono tanto più in confronto con la pressoché contemporanea insurrezione nazionale lanciata con successo dalla Resistenza italiana negli ultimi giorni di aprile del 1945. […] Dalla delusione e dalla disillusione si passò presto alla formulazione di un giudizio emotivo di condanna rabbiosa e incondizionata nei confronti di tutto il popolo germanico. […] Giuseppe Saragat sull’«Avanti!» rivendicò espressamente «il diritto di parlare di una responsabilità collettiva» del popolo germanico. […] La diffusione nell’immediato dopoguerra di notizie sempre più sconvolgenti sui crimini efferati commessi dalla Germania nazista non fece poi che alimentare questo sentimento di esecrazione e condanna rivolto a tutto il popolo tedesco, spazzando via la precedente distinzione che l’antifascismo più consapevole si era sforzato di tracciare fra «buoni» e «cattivi» tedeschi, ovvero fra tedeschi di sentimenti democratici oppressi dal regime e quanti avevano invece aderito al nazismo. […] Per la Germania pareva difficile, se non impossibile, poter distinguere fra popolo e regime. Le colpe di Hitler si ripercuotevano inesorabilmente sull’intera nazione tedesca”.

Da allora in avanti la diffusione di quell’immagine demonizzante del «Tedesco» di cui abbiamo parlato ebbe dunque libero corso, producendo effetti profondi e duraturi sulla memoria collettiva, segnata da un forte imprinting antigermanico. Certo non mancò fin dai mesi successivi alla conclusione della guerra un impegno notevole di alcuni intellettuali italiani, principalmente di matrice radicaldemocratica e socialista, per recuperare e introdurre in Italia il meglio della «cultura di Weimar» e più in generale della cultura democratica espressione dell’«altra Germania». Si può qui ricordare ad esempio Lavinia Mazzucchetti, amica e traduttrice di Thomas Mann, la figura più prestigiosa della cultura tedesca antinazista, di cui Mazzucchetti curò per Mondadori nel 1947 l’importante volume Moniti all’Europa. Per non dire del ruolo svolto a Milano da Paolo Grassi, che presso la casa editrice Rosa e Ballo curò la pubblicazione in italiano di opere fondamentali del teatro espressionista tedesco, da Wedekind a Toller, da Kaiser a Brecht, poi messe in scenda al Piccolo Teatro inaugurato nel 1947. Sul piano editoriale merita inoltre di essere menzionata l’azione preziosa della Mondadori, che fra il 1946 e il 1948 pubblicò alcune delle opere letterarie più note dell’opposizione antinazista tedesca come I fratelli Oppenheim di Lion Feuchtwanger, La settima croce di Anna Seghers, Erano in sei di Alfred Neumann, La selva dei morti di Ernst Wiechert”, spiega Focardi, che più oltre prosegue, “E tuttavia un generale, strisciante, sospetto di fondo nei confronti dei tedeschi rimase a connotare l’orientamento dell’opinione pubblica italiana, in tutte le sue espressioni culturali, politiche e sociali. […] Per Calamandrei, la «cicatrice» impressa dai «ricordi incancellabili» della brutalità germanica diventava una vera e propria «maledizione» che avrebbe pesato sugli uomini della sua generazione, vittime o spettatori dell’occupazione tedesca: la maledizione di una riconciliazione impossibile, del sospetto perenne nei confronti della Germania e dei suoi abitanti”.