Recensioni 2 – Vedova Nera

Mentre scrivo la mia tesi magistrale, mi rendo conto di quanto in questo lavoro stia confluendo la mia esperienza, negli ultimi dieci anni, con quella che chiamiamo “cultura nerd” e con le sue trasformazioni, soprattutto quelle che discendono dalla critica femminista. L’attualità delle riflessioni sul sessismo nella cultura nerd è sottolineata da eventi come la causa contro Activision Blizzard per le molestie e le discriminazioni nei confronti delle dipendenti, o lo sciopero di pochi giorni fa su Twitch per la mancata implementazione di sistemi per proteggere gli streamer – ma soprattutto le streamer – dagli hate raid. Negli anni, ho scritto diversi articoli su esempi che ho amato di rappresentazione dei personaggi femminili, e anche se mi rendo conto con uno sguardo più maturo che molti di questi rischiano di appiattirsi sullo stereotipo altrettanto limitante della strong female character, nondimeno queste eroine guerriere sono quelle che ho incontrato sul mio cammino mentre stavo crescendo, e sono grata di essere cresciuta in un momento storico in cui non mancano i modelli di donne forti e fiere. La ricognizione storica svolta per la tesi mi ha aiutata a capire quanto sia una cosa che non può essere data per scontata, mi ha aiutato a vedere il cammino percorso in termini di storie e spazio dei personaggi femminili, e quanto queste trasformazioni siano recenti, incompiute e contrastate. 

Per questo, voglio raccogliere in un post le recensioni di alcuni volumi dedicati a Vedova Nera che ho avuto la possibilità di leggere tramite Kindle Unlimited, quelli che ho apprezzato e quelli che sconsiglio. Il vantaggio di leggere i fumetti a distanza di anni dalla loro uscita, in volumi piuttosto che in numeri singoli, è quello di potersi fare un’idea lontano dall’hype e dalle polemiche, vedendo lo sviluppo della storia nel suo insieme piuttosto che a frammenti, mese dopo mese. Nel complesso, non tutte le storie con protagoniste femminili si collocano su livelli alti di qualità, considerando nel loro insieme sia lo storytelling che le illustrazioni, come del resto non avviene per le storie con protagonisti maschili. È importante porsi la questione della qualità delle storie, piuttosto che celebrare acriticamente la quantità, quando si tratta di diversità. 

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  • Black Widow and the Marvel Girls (Black Widow and the Marvel Girls (2009-2010)), scritto da Paul Tobin e illustrato da Salva Espin, Jacopo Camagni e Clayton Henry 
    Ho letto questo volume in quanto incluso in Prime Reading, e sono felice di non averlo dovuto acquistare. Si tratta di una raccolta di quattro storie più una bonus, una storia di Spider-Man degli anni ’70 in cui appare per la prima volta l’iconico costume aderente nero di Vedova Nera. Non tutte le storie raccolte nel volume hanno lo stesso livello di qualità: la prima, in cui in un flashback è raccontato l’addestramento di Natasha come spia russa e l’aiuto che riceve da Amora, l’Incantatrice, che per puro divertimento le offre la possibilità di salvarsi dal suo destino, mi è piaciuta anche se a mio parere i disegni non rendono la tensione e la durezza degli eventi raccontati; la seconda, in cui Natasha è in missione in Latveria con Wasp e gli Avengers, è secondo me la peggiore dal punto di vista dei disegni e sul piano narrativo, a pari merito con la terza, in cui Natasha si trova a lavorare con Ms. Marvel nel corso di una missione in Israele. La quarta storia vede Natasha collaborare con Mole Man e Storm per fermare una guerra fra gang che ha coinvolto gli abitanti del sottosuolo, ma né Natasha né Ororo spiccano nella narrazione, oscurate dal carisma di Mole Man, arguto, enigmatico e vero protagonista e vincitore della vicenda.
    Nel complesso, nessuna di queste storie ci mostra Vedova Nera interagire in modi significativi con la coprotagonista di turno: nessuna di loro ha – in queste storie – abbastanza caratterizzazione da creare dinamiche interessanti e uniche con Vedova Nera, anche per via della brevità delle storie. Il carattere antologico della raccolta si sente nella mancanza di sviluppo di tutti i personaggi coinvolti, inclusa la stessa Natasha, su cui non scopriamo niente di più della caratterizzazione ‘standard’ del suo personaggio.
    Le storie in sé sono dimenticabili e il framing del volume come storie di personaggi femminili è reso più deludente proprio dal fatto che i personaggi con cui Vedova Nera interagisce non hanno spessore e le avventure non hanno un ritmo nell’azione tale da sopperire a questa carenza.

  • Black Widow: Deadly Origin (Black Widow: Deadly Origin (2009-2010)), scritto da Paul Cornell e illustrato da Tom Raney, John Paul Leon e Adi Granov. 
    I fumetti Marvel sono un ottimo modo di approfittare dell’iscrizione a Prime, vista la vastità del catalogo. Questo volume, come suggerisce il titolo, ci porta alle origini della carriera di Vedova Nera come spia nella Russia sovietica, seguendo il filo del legame fra Natalia/Natasha e il suo mentore Ivan, attraverso una serie di flashback che ci permettono di scoprire quanto sia stata lunga e travagliata la vita di Natalia, pedina di un gioco molto più grande di lei che si è giocato sulla sua pelle per decenni e che ora le presenta la resa dei conti finale.
    Ho apprezzato la scelta stilistica di alternare due disegnatori per le parti della storia che si svolgono nel presente e quelle nei flashback, ma non sono una fan del lavoro di Tom Raney in questo albo: trovo che le sue espressioni facciali non si addicano al personaggio di Vedova Nera e in molte tavole appaiano distorte, uncanny perfino. Non ho apprezzato nemmeno le copertine di Adi Granov, che nel tentativo di creare uno stile pin-up ha secondo me ottenuto un effetto di plastica, artificiale e statico. A volte le tavole distolgono dal flusso della storia, che credo avrebbe avuto un altro impatto in termini di pura bellezza nelle mani di un disegnatore più attento a riflettere la psicologia dei personaggi con realismo sui loro volti. Ne avrebbe fatto un volume da acquistare e conservare, piuttosto che da leggere e restituire.
    Nonostante questo, la storia è intrigante e ha un buon ritmo, l’ho divorata durante un viaggio in treno. Restituisce spessore a Vedova Nera, mostrando il suo percorso, le sue vulnerabilità e la sua determinazione nel restare sempre a galla, portandosi addosso il peso dell’amarezza per ciò che si è dovuta lasciare alle spalle per riuscirci. Vorrei dare cinque stelle alla storia, e due ai disegni. Non potendo, mi limiterò a una media generosa.

  • Black Widow: The Name of the Rose (Black Widow (2010)), scritto da Marjorie Liu e illustrato da Daniel Acuna
    Marjorie Liu ha colto pienamente l’essenza del personaggio di Vedova Nera e ha scritto una storia perfetta per esprimerla: piena di tensione, non prevedibile, rivolta a mostrare i lati oscuri del passato di Natasha e come hanno plasmato la persona che è dovuta diventare, ma anche la persona che ha voluto diventare. In questa vicenda, Natasha è la voce narrante che emerge dalle didascalie, una voce malinconica ma dolce, e al contempo determinata e gelida, quella di una persona stanca che vorrebbe fermarsi a contemplare i piccoli attimi di gioia ma sa di non poterlo fare: deve restare vigile e continuare a lottare, per proteggere una felicità a cui non avrà mai diritto. In questa tensione si esprime un lato dell’essere eroi che non viene raccontato spesso, ma quando accade ai personaggi ritorna quella profondità che li fa sentire più umani e al contempo più fonti d’ispirazione.
    Qui Vedova Nera è spinta ai limiti delle sue forze, quando qualcuno rivela un suo segreto e le mette contro gli Avengers, lasciandola ferita e isolata, senza altre possibilità se non quella di andare alla radice del problema e combattere per salvarsi. La storia ha tensione, ritmo, ed è illustrata splendidamente da Daniel Acuna, i cui disegni sorreggono in modo splendido la narrazione: un vero gioiellino che consiglio a tutti i fan del fumetto come forma narrativa e di Vedova Nera come personaggio.

  • Black Widow: Kiss Or Kill (Black Widow (2010)), scritto da Duane Swierczynski e illustrato da Manuel Garcia e Travel Foreman
    Questo volume raccoglie la storia in tre puntate da cui il titolo, più due brevi storie bonus: “Iron Widow” e “Glitch”. La storia principale è magistrale: la tensione, i dialoghi, l’uso delle didascalie e i combattimenti rendono veramente intensa la narrazione ed esaltano il carattere di Vedova Nera, anche grazie al contrasto con il giovane giornalista Nick Crane e con la mercenaria Fatale, gli altri due protagonisti.
    Le storie bonus sono carine, ma nella prima mancano alcune pagine che mi risultano inspiegabilmente nere, e quindi non sono riuscita a capire del tutto la storia. La seconda invece è una breve storia ben costruita dove le personalità di Wolverine e Iron Man sprizzano scintille insieme. La giovane hacker Glitch è frizzante, e Sebastian Shaw viene caratterizzato benissimo come antagonista, mellifluo e minaccioso come si deve, eleganza e ferocia che attende solo una scusa. Essendo brevi storie autoconclusive, sono le dinamiche fra i personaggi più che la trama a renderle interessanti.
    Assegno quattro stelle perché l’ebook ha questo piccolo problema delle pagine mancanti.

  • Black Widow: Homecoming (Black Widow (2004-2005)), scritto da Richard K. Morgan e illustrato da Bill Sienkiewicz, Greg Land e Goran Parlov
    Questo volume, Black Widow: Homecoming, rappresenta la prima metà di una storia che si conclude nel volume Black Widow: The Things They Say About Her. Entrambe le storie sono scritte da Richard K. Morgan, scrittore famoso per Altered Carbon, ma concordo con i recensori in lingua inglese sul fatto che questo volume sia nettamente superiore rispetto alla conclusione della vicenda.
    La storia si apre quando qualcuno cerca di uccidere Vedova Nera, convinta di essersi lasciata alle spalle la vita da spia e assassina, e anche altre donne vengono uccise in giro per il mondo. Natasha, con l’aiuto di un ex agente dello SHIELD, Phil Dexter, inizia a indagare e trova un indizio in un farmaco misterioso, il Medusagen. Da qui ha inizio una vicenda piena di tensione e magistralmente costruita che porterà Natasha a confrontarsi con il suo passato e con il grande gioco di cui è stata una pedina, nonché a dover sfuggire a chi sta cercando di impedirle di arrivare alla verità. Morgan delinea un mondo cupo e crudo in cui essere una donna significa essere schiacciata dalle ambizioni di uomini potenti e senza scrupoli per cui esistono solo tre tipi di donne: quelle che possono essere rispettate come colleghe perché dimostrano di essere altrettanto dure, quelle che esistono come oggetti sessuali, e le vittime. La Natasha stanca, ferita e piena di rabbia è un’incarnazione di cosa significa resistere a tutto questo e costruirsi una corazza difensiva, ma proprio per questo vediamo una vulnerabilità che restituisce spessore al personaggio al di là degli stereotipi di strong female character e di femme fatale.
    Grande lavoro anche sul personaggio di Phil, perfetto comprimario per questa storia.
    Mi dispiace solo che il seguito non sia proprio all’altezza di questo primo volume, ma era difficile chiudere la storia restando sulle stesse altezze. Entrambi i volumi sono disponibili in Kindle Unlimited quindi, finché lo saranno, vale la pena recuperarli.

  • Black Widow: The Things They Say About Her (Black Widow: The Things They Say About Her (2005-2006)), scritto da Richard K. Morgan e illustrato da Sean Phillips e Bill Sienkiewicz 
    Premetto di aver appreso solo dopo aver finito il volume (non ho letto le recensioni per evitare spoiler) che si tratta del seguito di un’altra serie, Black Widow: Homecoming, scritta dallo stesso sceneggiatore, Richard K. Morgan, autore famoso per Altered Carbon a cui però io mi accosto per la prima volta con questo Black Widow: The thing they say about her. La storia ha toni cupi e decisamente violenti ed è intrisa di uno sguardo cinico e amaro sulla politica.
    I disegni hanno uno stile che li fa sembrare bozzetti, e per quanto siano adatti al tono della storia, non li ho apprezzati particolarmente, perché i volti dei personaggi risultano poco espressivi e le scene d’azione statiche. La magia del fumetto è anche creare dinamismo attraverso il disegno, qui invece mi sembra che la rarefazione da graphic novel abbia finito per creare un risultato piatto.
    La storia, ambientata tra gli Stati Uniti e Cuba, vede una Vedova Nera stanca, sola e piena di rabbia e amarezza scontrarsi con una fitta rete di nemici che vanno dal crimine organizzato latino ai piani più alti del governo. La tensione c’è, anche se non sempre lo stile di disegno rende immediato capire cosa sta succedendo se si legge la storia in versione digitale, sullo schermo di un telefono. Eppure, chiuso il volume mi è rimasto un senso di insoddisfazione per questa Vedova Nera vigilante e per il mondo crudo e opprimente delineato da Morgan, dove l’unica ironia rimasta a Natasha è quella di sapere che il mondo fa schifo e c’è più ingiustizia e orrore di quanto se ne possa combattere. Un tono quindi molto diverso anche da altre serie di Black Widow, in cui l’amarezza della protagonista era più sfumata. Concordo con altri recensori sull’eco di Frank Miller.

#mediawelike: Crouching Tiger, Hidden Dragon: Sword of Destiny

Riprendo in mano la serie di post dedicati ad elogiare gli esempi di rappresentazione dei personaggi femminili che ho trovato notevoli dopo più di un anno, perché di recente ho visto su Netflix Crouching Tiger, Hidden Dragon: Sword of Destiny, una produzione originale Netflix del 2016. Premetto che non ho visto il film del 2000 di cui questo dovrebbe essere il seguito, ma nonostante questo sia la trama – grazie ai flashback espositivi – che i personaggi sono emersi in modo nitido, definito, senza buchi di comprensione.

La prima cosa da dire su questo film è che è esteticamente bellissimo. Le ambientazioni nella Cina antica sono straordinariamente ricche di dettagli, e in ogni scena tutto è curato fino alla perfezione. In secondo luogo, tutta la trama ruota attorno ad una donna, Yu Shu-Yen, autorevole maestra di arti marziali la cui vita è stata segnata dai lutti e dalla consapevolezza di stare assistendo alla sconfitta nella guerra contro Hades Dai, capo del clan del Loto Occidentale, che ambisce a imporre l’egemonia del proprio clan su tutta la Cina e governa con un pugno di ferro. Yu Shu-Yen, interpretata da Michelle Yeoh, è una donna stanca, che ha scelto di ritrarsi dalla lotta e di cercare la pace interiore, ma il cui senso del dovere e dell’onore la guida come una fiamma. E’ la sua gravità, piuttosto che la sua forza, a circondarla di rispetto.

L’evento che metterà Shu-Yen di fronte a una scelta risolutiva avviene mentre la donna si trova a Pechino per rendere omaggio al defunto nobile Tie, custode della leggendaria spada Destino Verde. Nella notte, un ragazzo, Wei Fang (interpretato da Harry Shum, Jr.), cerca di rubare la spada per conto del Loto Occidentale, ma viene fermato da una ragazza sconosciuta, Vaso di Neve (interpretata da Natasha Liu Bordizzo). Shu-Yen intuisce che il destino dei due giovani è legato in qualche modo, e accetta di prendere come allieva Vaso di Neve, nella speranza di trasformare il suo desiderio di vendetta in una forza costruttiva.
Il rapporto fra le due donne è delineato in modo delicato, come un equilibrio ancora incerto, e i sentimenti sono lasciati trasparire senza forzarli. Fra l’altro un eccellente esempio di come passare il Bechdel Test senza sbatterlo in faccia allo spettatore.

Il fallito tentativo di rubare la spada da parte di Wei Fang allerta Lupo Silente (interpretato da Donnie Yen), solitario e cupo maestro di arti marziali e in passato promesso sposo di Shu-Yen, che lei aveva creduto morto dopo uno scontro con Hades Dai. Lupo Silente risponde alla chiamata e raduna quattro seguaci della Via del Ferro, Shi Dardo d’Argento, Lama Volante, Chan Pugno di Ferro e Mamma Tartaruga. I cinque si dirigono a Pechino per proteggere la spada. Durante la notte, Lupo Silente e Shu-Yen hanno modo di aprire i propri cuori e parlare del passato, ma Shu-Yen non è disposta ad accettare che un uomo per cui ha portato il lutto per 18 anni possa ritornare d’improvviso nella sua vita.

Durante la notte il Loto Occidentale attacca la casa di Tie, in un secondo tentativo di rubare la spada. Shi e Mamma Tartaruga sono uccisi durante la battaglia. L’incantatrice cieca, una veggente guerriera al servizio di Hades Dai, riesce a impossessarsi della spada uccidendo il figlio di Tie. Il giorno successivo, Vaso di Neve rivela a Wei Fang il legame che li accomuna: lui era figlio della spadaccina rinnegata Han Mei, scambiato nella culla con la figlia di una concubina che voleva offrire un figlio maschio ad Hades Dai. Mentre Han Mei aveva addestrato la bambina – Vaso di Neve stessa – Wei Fang era stato cresciuto dal Loto Occidentale, finché Han Mei aveva sfidato Hades Dai per la sua libertà, venendo sconfitta e uccisa. Prima di morire, era tornata a chiedere a Vaso di Neve di trovare Wei Fang, e salvarlo se fosse stato un uomo giusto oppure ucciderlo se fosse diventato malvagio.

Vaso di Neve libera Wei Fang sapendo che presto il Loto Occidentale avrebbe cercato di ucciderlo, ma il ragazzo ruba la spada. Durante la fuga si scontra con Lupo Silente su un lago ghiacciato, e viene aiutato dal suo vecchio maestro Corvo di Ferro, il quale muore per permettergli di fuggire. Wei Fang si presenta ad Hades Dai con la spada, ma una volta giunto al suo cospetto tenta di ucciderlo, in memoria di sua madre. Shu Yen, Lupo Silente, Vaso di Neve, Lama Volante e Chan Pugno di Ferro raggiungono il tempio del Loto Occidentale per combattere la battaglia definitiva, che segna la sconfitta di Hades Dai e del suo clan e sigilla il legame fra la vecchia e la nuova generazione di guardiani del Destino Verde, di seguaci della Via del Ferro.

In questo film tutti i protagonisti hanno ampio spazio per i loro sentimenti, le loro motivazioni, i loro dubbi e tumulti interiori. Le storie non sono “sbattute in faccia”, sento il bisogno di ripeterlo, ma tratteggiate in modo delicato e discreto, in modo da innestarsi sulla trama senza stridere. Il tema del coraggio, dell’onore e del dovere regge le motivazioni dei “buoni”, ma ciò non significa che loro sappiano sempre quale sia la cosa giusta da fare o come farla. Personalmente trovo che la scrittura sia davvero molto buona, oltre al fatto che le scene di combattimento sono spettacolari: corrispondono alle aspettative di un film sulle arti marziali, e in questo sono molto fluide e godibili, ma senza la sensazione di artificioso di molti combattimenti.

Adottando una prospettiva di genere, il film evita le solite prevedibili trappole: nessuna delle donne nel film è inutilmente sessualizzata o poco vestita, nemmeno fra le “cattive”, l’incantatrice cieca e l’assassina Mantis; nessuna donna è presentata solo come “love interest”, anzi per fortuna ci sono state risparmiate storie d’amore palesi, di quelle che “devono” nascere alla fine del film per segnalare il lieto fine. Se ci sarà una continuazione, potranno essere lì, e sarà sensato, perché i personaggi avranno avuto il tempo di conoscersi in profondità. Tutte le donne hanno motivazioni e sentimenti tanto sviluppati quanto quelli dei personaggi maschili (io non volevo scriverlo, perché dovrebbe essere ovvio, ma in moltissimi film non accade e allora è giusto riconoscerlo).
E’ notevole, sempre nei termini di una prospettiva di genere, che la protagonista sia una donna non più giovane, di mezza età, alla luce delle note critiche espresse da molte attrici sul fatto che dopo i 40 anni i ruoli interessanti si riducono drasticamente, come se mancasse la capacità di creare storie con protagoniste donne non più giovani.

In conclusione, pensavo di guardare un film di arti marziali per distrarmi, ma questa storia e i suoi personaggi mi hanno colpita al punto che ho voluto prendermi del tempo per scrivere questo post. E’ una bella storia, e il fatto che le donne vi abbiano grande spazio è solo uno dei motivi per cui lo è, e nemmeno il più importante.

#mediawelike: Captain Marvel

Miss Marvel, altrimenti nota come Carol Danvers, è una supereroina dell’universo Marvel, il cui potere è assorbire e riassorbire energia in varie forme; inoltre può volare, anche nello spazio, ha una forza sovrumana e, quando non è impegnata a salvare il mondo, è una pilota dell’Air Force statunitense.
Come personaggio, non ha mai avuto grande spazio individuale, ma nel 2012, sotto la guida della sceneggiatrice Kelly Sue DeConnick e del disegnatore Dexter Soy, è stata protagonista di una serie di 12 albi, Captain Marvel, appunto, che sono un inno al femminismo nel mondo del fumetto.
All’inizio della serie, Capitan America convince Carol ad assumere il titolo di Capitan Marvel, come emblema di un nuovo inizio. Da allora, le storie proseguono esplorando la vita, la personalità e gli interessi di Carol, il suo grande amore per il volo e il senso di libertà che le dà, il desiderio di gettare sé stessa oltre i limiti senza ricorrere ai propri poteri (e il bisogno di dimostrare che lei è una grande pilota indipendentemente dal fatto di averli), e in parallelo ci portano in un mondo dove le donne sono protagoniste.

Captain-Marvel
Ad esempio, nel primo arco narrativo Capitan Marvel viene sbalzata indietro nel tempo e si ritrova su un’isola del Pacifico durante la Seconda Guerra Mondiale, dove incontra una squadra di soldatesse americane, la Banshee Squad, rimasta intrappolata sull’isola, e scopre di dover combattere un’invasione aliena collegata al suo stesso passato. Bloccate sull’isola, Carol e le ragazze – Daisy, Rivka, Mackie, Bijoux Kawasaki (di origini franco-giapponesi) e Jerri – diventano compagne d’armi, e sviluppano un legame di solidarietà, lealtà e rispetto.
Lo sottolineo perché vedere un fumetto passare il Bechdel Test in modo così spontaneo, regalandoci donne diverse ma tutte dotate di grande forza e sfaccettature, non è una cosa di tutti i giorni.

Il bello è che il fumetto resta nei canoni tradizionali del genere – viaggi nel tempo, battaglie decisamente epiche, battute brillanti – pur essendo una storia adorabilmente femminista, che affronta temi come il fatto che alle donne pilota venne negata la possibilità di far parte delle spedizioni spaziali della NASA, mentre ci mostra legami forti fra donne e ripercorre la storia di come Carol Danvers acquisì i suoi superpoteri.

Monica Rambeau

E un’altra cosa fantastica è l’incontro fra Carol e Monica Rambeau, che ha vestito i panni di Capitan Marvel prima di lei, nel corso di un’avventura in cui le due supereroine combattono insieme e affrontano i propri diverbi. Che altro posso aggiungere? Lo stile di disegno di Dexter Coy è bellissimo e rende le nostre eroine ancora più forti e fiere, ponendo in risalto i muscoli e dando loro espressioni quasi dure. Kelly Sue DeConnick ha scritto storie che sono semplicemente belle, avvincenti, al di là dell’aspetto “politico”. Ed è davvero un peccato che questa serie sia durata solo 12 albi, perché li ho divorati.

Fra l’altro, permettetemi una nota di confronto fra il vecchio costume di Miss Marvel e il nuovo costume di Captain Marvel – il restyling la rende molto più “militare”, con il pattern cromatico rosso-blu e i dettagli oro, e ha molto meno fanservice. 

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#mediawelike – Firefly

Firefly è la mia serie preferita, un esperimento del grande Joss Whedon (il creatore di Buffy l’Ammazzavampiri, Angel, Alias, e successivamente regista di Avengers e Avengers: Age of Ultron, e ideatore di Agents of SHIELD, fra le altre cose) del 2004, che purtroppo fu chiuso dalla Fox, la casa produttrice, dopo 15 puntate, senza che ci fu il tempo di dare un vero finale alla serie. La storia è stata poi ripresa, grazie all’ardente sostegno dei fan e del cast, in un film, Serenity, prodotto dalla Universal nel 2007.

Prima fila, da sinistra: Inara, Mal, Simon, River; seconda fila, da sinistra: Jayne, Kaylee, Wash, Zoe, il pastore Book.
Prima fila, da sinistra: Inara, Mal, Simon, River;
seconda fila, da sinistra: Jayne, Kaylee, Wash, Zoe, il pastore Book.

La serie racconta le vicende dell’equipaggio della Serenity, un’astronave di classe Firefly comandata dal contrabbandiere e veterano di guerra Malcolm Reynolds (Nathan Fillion, più noto per il ruolo di Richard Castle in Castle), un uomo che ha combattuto in guerra dalla parte sconfitta e ora cerca di sopravvivere, avvolto dal cinismo e dalla rassegnazione per aver visto crollare ciò in cui credeva, ma determinato a proteggere il suo equipaggio, che per lui è come una famiglia. Mal appare scostante perché il suo dolore lo ha spinto ad innalzare delle barriere fra sé e gli altri, ma la sua lealtà e il suo senso di giustizia pulsano sotto la superficie, pronti a riemergere ogni volta che qualcuno è in pericolo.

Accanto al capitano Reynolds c’è Zoe Washburne (Gina Torres), lei pure veterana della guerra fra gli Indipendentisti e l’Alleanza, una donna calma, determinata e razionale in battaglia e al comando della Serenity, ma anche profondamente e appassionatamente innamorata di suo marito, il pilota dell’astronave, Wash (Alan Tudyk). Wash, in grado di far volare qualsiasi cosa, è molto emotivo, un po’ awkward (questo aggettivo non ha una traduzione esatta in italiano, ma esprime l’idea di “socialmente imbarazzato”, non disinvolto), comprensivo e innamorato di Zoe fino alla devozione. Dove Zoe è una fiamma ardente, Wash è l’abbraccio che dà conforto, stabilità e protezione.

Dell’equipaggio fa parte anche Jayne (Adam Baldwin), un mercenario spavaldo, aggressivo, sicuro della propria virilità fino alla boria, che si fa un vanto del proprio disincanto, del fatto di essere mosso solo dall’interesse, e del suo notevole arsenale da combattimento. Nel corso della sua permanenza a bordo della Serenity scoprirà che ci sono cose che devono venire prima del denaro, e una di queste è la lealtà. Poi c’è Kaylee (Jewel Staite), la meccanica della squadra, una ragazza dolce, ottimista, profondamente legata alla Serenity, curiosa, ingenua e molto aperta sulla sessualità, che è un po’ la protetta di tutto l’equipaggio, ma non viene mai trattata con condiscendenza: Kaylee sa che i suoi amici si guadagnano da vivere con rapine, contrabbando ed eventuali uccisioni, ma non ha problemi con questa verità.

Insieme all’equipaggio della Serenity viaggia Inara (Morena Baccarin), un’Accompagnatrice: nel mondo di Firefly, le Accompagnatrici sono un po’ come delle geishe, membri di un’élite rispettata in tutto il cosmo, formate da un’Accademia di grande prestigio. Inara non è un’escort, sarebbe riduttivo. Come persona, è affascinante, autorevole, colta, raffinata e sicura di sé. Ma è anche uno spirito libero, ed è per questo che ha scelto di viaggiare su un’astronave di contrabbandieri piuttosto che restare in uno dei pianeti centrali, presso le élite politiche ed economiche dell’Alleanza.

Nel primo episodio, all’equipaggio si uniscono tre passeggeri, il medico Simon Tam (Sean Maher), elegante membro dell’alta società catapultato per costrizione in un mondo a lui estraneo, di cui non capisce le regole, sua sorella River (Summer Glau), una ragazza enigmatica, dotata di grandi poteri e custode di grandi segreti, nonché mentalmente instabile a causa di traumi nel suo passato – il passato da cui Simon e River sono in fuga, e il pastore Book (Ron Glass), un anziano, saggio e pacato prete la cui vita passata resta avvolta nel mistero.

PartlyDrawn, blogger americana e studentessa di Letteratura, ha scritto una splendida serie di post analizzando aspetti per cui Firefly è una serie molto innovativa e più complessa di quanto traspaia da una prima visione sul piano narrativo e dei sottotesti. Fra questi, l’importanza delle relazioni platoniche e d’amicizia fra i vari membri dell’equipaggio, il modo in cui la sessualità è narrata e affrontata nella serie, e altre considerazioni interessanti e arricchenti. Ho scelto di non parlare di questi temi proprio perché lei ne ha già scritto molto meglio di me (i suoi post contengono spoiler, tuttavia. Io vi ho avvertiti). Vi lascio il link a tutti i post della categoria firefly.

 

#mediawelike – Torchwood

Innanzitutto, buon 2016 e bentornate/i su “Il Ragno”! ^^ Quest’anno voglio iniziare i post con un po’ di ottimismo, visto che l’anno è iniziato con le orribili polemiche sulle molestie sessuali di Colonia, subito strumentalizzate all’insegna dello scontro di civiltà (perché trattarle per quello che sono, una questione di sessismo e cultura dello stupro, immagino fosse noioso per i polemisti professionisti). Quindi, celebriamo serie TV che hanno la diversità al loro centro e non hanno nemmeno bisogno di ostentarla, perché sono anche scritte bene e recitate bene!

Torchwood è una serie della BBC, nata come spin-off di Doctor Who, che si focalizza sul personaggio del Capitano Jack Harkness e sul suo lavoro presso l’Istituto Torchwood, fondato dalla Regina Vittoria per occuparsi di gestire in segreto qualsiasi minaccia soprannaturale o aliena alla sicurezza del Regno Unito. Torchwood è anche una serie straordinaria dal punto di vista della diversità che racchiude nella sua squadra di personaggi e per le relazioni che si formano fra questi. E poi io amo le serie centrate sulle dinamiche di gruppo, in cui diverse persone crescono insieme, fino a diventare una squadra nel senso più pieno del termine – colleghi, amici, compagni.

Torchwood S2

Prima di continuare, premetto che per parlare delle relazioni fra i personaggi sarà inevitabile fare qualche piccolo spoiler, ma non andrò a toccare la trama. La storia inizia quando l’agente di polizia di Cardiff Gwen Cooper (interpretata da Eve Myles, al centro nella foto) assiste per caso ad un’operazione della squadra di Torchwood, composta dal Capitano Jack Harkness (John Barrowman, a sinistra), dal medico Owen Harper (Burn Gorman, secondo da destra), dall’esperta di tecnologia Toshiko Sato (Naoko Mori, sulla destra) e dal tuttofare Ianto Jones (Gareth David-Lloyd, al centro fra Gwen e Owen). O, perlomeno, questo è il cast delle prime due serie, la terza e la quarta vi faranno soffrire perché gli autori inizieranno a uccidere i personaggi.
Da questo episodio inizia il suo coinvolgimento in Torchwood, nel corso del quale apprenderà del compito dell’agenzia di proteggere Cardiff dalle minacce provenienti da una frattura spazio-temporale su cui la città sorge, alieni, manufatti e ovviamente anche esseri umani malvagi.

A differenza di Doctor Who, che è essenzialmente una serie adatta ad ogni età, Torchwood è pensata per un pubblico più adulto, il che permette di sviluppare un tema appena accennato in Doctor Who, la bisessualità del Capitano Jack Harkness (o pansessualità, visto che Jack è stato innamorato anche di un Signore del Tempo, che non è esattamente umano) e di mostrare i personaggi che combattono per la propria vita ricorrendo alle armi – d’altronde, i membri del Torchwood non hanno cacciaviti sonici a loro disposizione.

Lasciando da parte la trama per evitare spoiler (ma Torchwood merita, guardatela), vorrei presentare brevemente i personaggi, che sono complessi e sfaccettati non solo per le loro personalità, ma perché ognuno rappresenta un aspetto diverso del mondo delle relazioni e della sessualità. Quello che segue è tutto quello che posso dirvi dei personaggi senza rivelare il loro passato e/o eventi che, nel corso della serie, determineranno delle svolte per loro.

Il Capitano Jack Harkness è il leader della squadra ed è immortale, in seguito ad eventi avvenuti nella prima serie di Doctor Who (considerando la cronologia contemporanea, quella con Christopher Eccleston nei panni del Dottore). E’ sempre di buon umore e ottimista, prende la vita con leggerezza e ama flirtare, è protettivo nei confronti della sua squadra e vive la propria immortalità come una responsabilità, poiché sa di potersi permettere rischi che non può far correre ai propri compagni. Come detto, Jack Harkness è bisessuale, o più propriamente è attratto dalle persone indipendentemente dal loro genere, e vive il sesso in modo libertino, senza impegno.

Gwen Cooper, l’ultima arrivata nella squadra, ha un forte senso di giustizia e una forte empatia, che la portano a cercare sempre la soluzione più umana alle crisi che il Torchwood si trova ad affrontare. La vediamo crescere in determinazione e prendere scelte difficili man mano che comprende il mondo in cui è entrata e quale è la posta in gioco, ma sempre senza tradire la propria coscienza. Gwen è fidanzata con un ragazzo normale, Rhys: sono una coppia normale, affettuosa e profondamente innamorata, ma la loro relazione sarà incrinata dal segreto che Gwen è costretta a tenere, riguardo al suo nuovo lavoro in Torchwood.

Owen Harper è il medico della squadra, sicuro di sé fino all’arroganza, cinico, anche un po’ immaturo. Ha scelto di rifuggire dal coinvolgimento emotivo e di vivere solo storie da una notte comportandosi come un dongiovanni perché, qualora lasciasse che una persona entrasse nella sua vita fino a diventare importante per lui, rischierebbe sempre di perderla. In lui l’arroganza maschera il timore di non essere in grado di salvare le persone.

Toshiko Sato è l’esperta di tecnologia della squadra, molto intelligente e molto competente, ma anche insicura e con un grande vuoto dentro perché non ha mai avuto relazioni serie ed è convinta che nessun uomo la noterà mai e s’innamorerà mai di lei a causa del suo carattere tranquillo e riflessivo, perfino timido. Alcune esperienze sentimentali la aiuteranno ad acquisire sicurezza in sé stessa e determinazione, fino ad arrivare a dire: “Of course I can do it, I’m brilliant!” (“Certo che posso farcela, io sono brillante!”).

Ianto Jones, il tuttofare della squadra, non ama mettersi in mostra e preferisce svolgere il suo lavoro con calma, ma è colui che tiene insieme la squadra con la sua capacità di esserci al momento giusto. Riflessivo, apprezza la stabilità ed è molto legato al Capitano Jack Harkness, anche se a volte disapprova la sua leggerezza e non riesce a comprenderlo. Anche Ianto è bisessuale (se proprio vogliamo incasellarlo) ma preferisce le relazioni serie, in cui l’impegno e il reciproco supporto emotivo siano centrali.

Non ho solo ragioni connesse ai miei interessi per le questioni di genere e LGBT per elogiare Torchwood: la squadra di sceneggiatori guidata da Russell T Davies, uno dei principali autori delle avventure del Dottore, ha fatto un lavoro di scrittura eccellente in quasi tutte le puntate e non ce n’è una che assomigli ad un’altra. Il filo conduttore è dato dalle difficili scelte etiche che i membri di Torchwood si trovano ad affrontare nel corso delle loro operazioni, e dalla riflessione sul significato della vita e dell’essere umani impersonificata dal Capitano Jack Harkness e dalla sua immortalità. Per chi segue Doctor Who, poi, le interconnessioni con la trama di quest’ultima vi faranno sorridere.

Un'ottima ragione per guardare Torchwood: John Barrowman.
Un’ottima ragione per guardare Torchwood: John Barrowman.

#mediawelike: personaggi femminili di colore da ricordare

Un po’ di tempo fa avevo scritto un post dedicato ai personaggi femminili da ricordare, con una piccola lista delle mie eroine, da film e anime (avrei incluso serie tv e videogames, ma non volevo fare una semplice lista, quanto descrivere chi fossero quei personaggi e perché significassero qualcosa per me). La rappresentazione conta, perché riflette e a sua volta influenza l’immaginario collettivo, in un processo continuo di interscambio reciproco. Il fatto che un’idea sia presente in un prodotto culturale dimostra, di solito (i casi in cui uno sceneggiatore o una sceneggiatrice inventano un’idea completamente nuova e originale, che non ha rimandi precedenti, sono rari al giorno d’oggi), che quell’idea è diffusa nella società, nell’ambiente culturale più ampio. L’idea viene poi rilanciata di nuovo nell’ambiente dal prodotto culturale stesso. Ricostruendo il cammino della diffusione di quell’idea, anche il prodotto culturale stesso ne costituisce una tappa.
L’idea che anche le donne possano essere forti, autonome, intelligenti, e non semplici elementi di contorno in relazione ad un uomo, è ormai accettata. Anche nei film dove il protagonista è un uomo ci si sforza di rappresentare in modo positivo le donne (anche perché, diciamolo, un personaggio complesso e sfaccettato è sempre più interessante di uno stereotipato, e ci si può identificare meglio).

Una ragazza che stimo molto, l’amministratrice della pagina facebook “Contro gli standard di bellezza”, ha pubblicato quest’album, Donne di colore nei media, in cui raccoglie esempi più che positivi, ottimi, di personaggi femminili di colore ben caratterizzati. Mi ha anche dato il permesso, cosa per cui la ringrazio molto, di riportare qui uno dei suoi testi per illustrare l’argomento.

Michonne

Il personaggio che ho scelto è Michonne, di The Walking Dead, riguardo a cui lei scrive: “Premetto che parlerò unicamente della Michonne della serie televisiva, poiché non ho finito di leggere il comic e in ogni caso trovo che la Michonne cartacea sia estremamente problematica dal punto di vista del maschilismo.
In una serie nota per la pessima scrittura dei personaggi femminili, sono stata sorpresa di scoprire che l’unico tra questi che invece è stato ben caratterizzato è l’unica donna nera del cast (più avanti si aggiunge un’altra ragazza di colore e gli ultimi sviluppi hanno portato nel gruppo anche una donna latina, ma per molto tempo Michonne è stata l’unica donna di colore tra i sopravvissuti).
Quando appare, di lei non si sa nulla, e si continuerà a non sapere nulla per molto tempo. Ciò che sappiamo è che Michonne è un’abilissima combattente (uccide gli zombie a colpi di katana), esperta nell’arte della sopravvivenza (la vediamo sopravvivere da sola in un’apocalisse zombie armata solo di spade e di due walker al guinzaglio, che lei stessa ha sottomesso) e tanto disposta ad aiutare quanto è poco disposta ad aprirsi.
Se Michonne può sembrare, da un lato, una mera trasposizione al femminile dell’eroe burbero, un’analisi più attenta rivela che l’estrema riservatezza di Michonne è il risultato di una serie di traumi che, oltre a renderla diffidente, l’hanno segnata al punto di non essere in grado di parlarne. Dovremo aspettare moltissimo prima che finalmente Michonne si apra: lo farà con Carl, un personaggio con cui, piano piano, nel corso della serie instaurerà un rapporto quasi materno, che contrasta con la scarsa fiducia e attenzione generalmente accordata da Michonne agli altri esseri umani. Con lui, e con l’amica Andrea, Michonne perde la sua abituale rigidità e si concede anche attimi di dolcezza e tranquillità. Carl ci permette di vederla nel suo lato più giocoso e nella sua profonda empatia, caratteristiche che, prima dello sterminio della sua famiglia, in lei erano evidenti e preponderanti.
Questo non significa che la maternità perduta, e quella in un certo senso recuperata tramite Carl, siano le uniche caratteristiche di questo personaggio: le sue storyline generalmente riguardano l’incapacità degli altri personaggi di accettarla nel gruppo, proprio a causa del suo rifiuto di aprirsi e rivelare informazioni su di sé, il che la rende un’alleata ma al contempo una sospetta. Col tempo riuscirà a dimostrare, con i fatti e non con le parole, la sua lealtà al gruppo.
Particolarmente degno di nota il fatto che tra lei e Andrea si instauri un rapporto di profonda amicizia, in una serie spesso maschilista da cui era difficile aspettarsi ciò che serie molto più raffinate non riescono a concepire. Naturalmente tra le due ci sono dei contrasti, com’è normale in qualsiasi amicizia, ma questi contrasti, nonostante finiscano per portarle su strade diverse, non intaccheranno mai il legame che si è creato tra le due.
In tutto questo, Michonne spicca sugli altri personaggi femminili della serie (rappresentati come inetti, fastidiosi, imprudenti, misogini e negativi, al punto che verranno percepiti come tali anche nei momenti in cui non lo sono) come l’eroina guerriera che se la cava sempre grazie alle sue forze. Naturalmente riceve l’aiuto dei personaggi maschili, che aiuterà a sua volta a più riprese, ma l’aiuto è sempre reciproco e non sarà mai una damigella in pericolo; nemmeno quando verrà presa prigioniera, poiché si libererà da sola durante la missione di salvataggio tesa a recuperare lei ed Hershel.
Non ho riscontrato nulla in lei, nemmeno nella Michonne pre-apocalisse, che riconduca a stereotipi razzisti sulle persone di colore; la questione dell’etnia non viene mai neppure menzionata. In una serie maschilista e razzista, dove i personaggi di colore vengono falciati senza pietà uno dopo l’altro, è stupefacente rendersi conto che l’unica a non ricevere questo trattamento è proprio la donna di colore, personaggio tra l’altro piuttosto ben scritto in una galleria umana che spesso si dimostra piatta, stereotipata o addirittura insignificante (caratteristiche che vanno intensificandosi a mano a mano che ci si allontana dalla categoria dell’uomo bianco).”

Cosa ne pensate? Vi vengono in mente altre donne di colore notevoli, oltre a quelle nell’album di “Contro gli standard di bellezza”? Io citerei Zoe Washburne (interpretata da Gina Torres) in Firefly di Joss Whedon (ma Firefly l’avranno vista in 15), ma qualsiasi suggerimento e contributo al discorso è benvenuto. 

#mediawelike: personaggi femminili da ricordare

Il mondo dei blog femministi (soprattutto quelli anglosassoni)dedica spesso la sua attenzione all’analisi dei personaggi femminili nella letteratura, nel cinema, nei videogiochi, nelle serie televisive, nella consapevolezza che “representation matters“, la rappresentazione conta, perché influenza il nostro immaginario e crea dei modelli, a volte esempi positivi a cui ispirarsi, altre volte stereotipi dannosi da cui rifuggire. L’hashtag del titolo si riferisce alla campagna omonima lanciata su Pinterest dal progetto “Miss Representation“.

Io stessa, sin da piccola, mi sono identificata nei personaggi femminili forti che ho avuto modo di conoscere, e questa ammirazione non mi è ancora passata, per cui ho raccolto volentieri l’ispirazione fornita da Emily Temple nel suo articolo Feminist Avenging Angels: 10 of the Most Powerful Female Book Characters, e ho apprezzato molto la sua lista. Personalmente, penso che Katniss Everdeen meriti più considerazione, e non lo dico perché sono innamorata della saga di Hunger Games (nella versione dei libri: gli adattamenti cinematografici, fermo restando che Jennifer Lawrence è bravissima, non dicono molto), ma perché Katniss, oltre ad essere una ragazza dallo spirito libero e indipendente per natura, ha uno spiccato senso di giustizia, ha sorretto la sua famiglia da sola dopo la morte del padre a soli 11 anni, con grande spirito di sacrificio, risolutezza e pragmatismo, ha una profonda sensibilità (pensate a come ha voluto circondare il corpo di Rue di fiori dopo la sua ingiusta morte nell’arena) e non è un personaggio romantico. Nel caratterizzarla, l’autrice ha creato un personaggio che possiede il giusto equilibrio fra emotività, istinto e razionalità, forte ma non insensibile, combattente per necessità e per i suoi ideali, ma non spietata.

La lista di Emily Temple è stata ripresa dalla 27esima Ora in Protagoniste del cambiamento(nei romanzi): ecco le nostre eroine di Serena Danna. Anche qui gli spunti sono interessanti, sebbene meno attinenti all’argomento di questo post.

Quindi mi accingo a compilare la mia personalissima lista. Ho scelto i personaggi in base alla complessità della loro caratterizzazione psicologica (un personaggio monodimensionale, che può essere descritto con uno o due aggettivi, non è mai un personaggio interessante, né può essere un modello in cui identificarsi, qualcuno che si sogna di essere). Fondamentalmente, un personaggio femminile “femminista” è semplicemente un personaggio femminile ben costruito, che non cada nella piattezza di uno stereotipo. Per esempio, in questo articolo intitolato We’re losing all our Strong Female Characters to Trinity Sif Syndrome Tasha Robinson sottolinea come molti personaggi femminili in ruoli di supporto siano confinati in un nuovo cliché: l’eroina determinata, forte e potente…che tuttavia è un passo indietro all’eroe protagonista, e quando il gioco si fa duro ha comunque bisogno di essere salvata. Una damigella in pericolo 2.0: autonoma, fiera, forte, ma comunque incapace di collaborare con il protagonista su un piano di parità. La definizione secondo me non si applica a Trinity di Matrix, uno dei migliori personaggi femminili di sempre, ma rende l’idea se consideriamo come esempio paradigmatico Sif di Thor Thor: the Dark World, che nonostante venga presentata come una guerriera fiera e temeraria ha un ruolo fin troppo marginale nei film e pochissima caratterizzazione psicologica.

Non che io condivida pienamente l’articolo della Robinson – stralcerei subito Tauriel dalla lista (aggiungendo un grazie a Peter Jackson per aver inserito un personaggio femminile come lei ne Lo Hobbit nonostante il romanzo originale non lo preveda), ma la sua lista conclusiva esprime perfettamente quello che intendo dire: se un personaggio femminile viene presentato come “forte”, ma poi in concreto non fa nulla di rilevante all’interno del film/libro/videogame di cui fa parte, allora non è un personaggio ben fatto. Nota: l’articolo della Robinson parla di support characters, non di protagoniste, perciò considerare personaggi femminili che siano le protagoniste delle loro storie come controesempi non ha molto senso.

Comunque sia, la lista. Ovviamente non ha nessuna pretesa di essere esaustiva, so che si potrebbero citare decine di buoni personaggi femminili (cosa di cui sono molto felice, ovviamente! Sia come femminista sia come ragazza a cui piacciono le storie ben scritte e i personaggi sviluppati in maniera interessante). Questa lista è solo una mia personale “hall of fame” di personaggi che amo.

Maka Albarn dell’anime Soul Eater. Maka è una maestra d’armi che combatte in squadra con Soul Eater Evans, un ragazzo che ha il potere di trasformarsi in una falce, figlia della Falce della Morte. Nel corso della serie rivela una personalità molto complessa, a volte insicura, molto sensibile e protettiva nei confronti dei suoi amici, coraggiosa e generosa. In particolare mi ha molto colpita la profonda empatia che Maka sa dimostrare, e l’umanità con cui è tratteggiata una ragazza alla ricerca di sé stessa. 

 

Maka Albarn, dalla serie anime Soul Eater

Ellen Ripley della saga cinematografica di Alien. Ripley (interpretata da Sigourney Weaver), la coraggiosa, libera, indipendente, intelligente, materna, protettiva Ellen Ripley è una delle icone femministe nel cinema per eccellenza, la capostipite di tutte le eroine. Lascio il compito di renderle omaggio a questi due link: The Rise of Ripley: Gender and ‘Alien,’ Part 1 e Dalla Nostromo alla spada – Lipperatura di Loredana Lipperini.

Ellen Ripley come appare nel primo film, Alien.
Ellen Ripley come appare nel primo film, Alien.

Alice della saga cinematografica di Resident Evil. Alice (interpretata da Milla Jovovich) non è solo una guerriera dalla spiccata intelligenza strategica, ma è una vendicatrice mossa da un forte spirito di giustizia, che ha superato numerosi traumi, come lo scoprire di essere stata una pedina nelle mani dell’Umbrella Corporation e indirettamente responsabile dell’epidemia di T-virus che ha trasformato quasi tutta la popolazione mondiale in non-morti. Per questo si sente in dovere di proteggere con tutte le sue forze ciò che rimane dell’umanità e distruggere l’Umbrella. Nel corso della serie di film Alice si innamora e vede il suo innamorato, Carlos Oliveira, sacrificarsi per la salvezza del gruppo, stringe amicizia con le poche persone che conquistano il suo rispetto e superano la sua coltre di freddezza, come Claire e Chris Redfield, Luther West e Jill Valentine, e vede quest’ultima diventare un burattino nelle mani del suo nemico. Nell’ultimo film rischia la vita per salvare una bambina, figlia di un suo clone. Le esperienze da cui è passata l’hanno resa fredda e implacabile, dedita solo al suo obiettivo, ma con le persone di cui ha imparato a fidarsi dimostra una grande lealtà, generosità e spirito di sacrificio.

Alice nel terzo film della saga, Extinction
Alice nel terzo film della saga, Extinction

Natasha Romanoff, meglio nota come Vedova Nera (interpretata da Scarlett Johansson), in The Avengers e in Captain America: the Winter Soldier. Agente d’élite dello S.H.I.E.L.D., verso il quale nutre una profonda lealtà a causa del fatto che il collega Clint Barton (Occhio di Falco) ha scelto di risparmiarle la vita e offrirle una seconda occasione quando era una criminale, Vedova Nera ha un’intelligenza brillante, una grande capacità di reazione agli imprevisti e di elaborazione rapida di strategie, elevate conoscenze informatiche, un addestramento impeccabile nelle arti marziali. Il tratto più spiccato della sua personalità è la lealtà nei confronti delle persone che sente il bisogno di proteggere e la dedizione al lavoro, che nasce dal senso del dovere. Appare fredda e controllata, ma solo perché fa parte del suo lavoro il dissimulare le emozioni: in realtà i legami con le persone a cui tiene sono profondi in lei e darebbe ogni cosa per loro.

 

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La diversità è spesso una ricchezza, e ancora di più se si parla di personaggi e storie. Ci sono molti modi di essere “donne forti”, esattamente come nella vita reale (lo esemplifica benissimo questa lista redatta dal blog The Mary Sue, che focalizza l’attenzione su personaggi femminili privi di poteri e/o costumi da supereroe, diversi fra loro quanto possono esserlo Mulan e Lois Lane). Non è importante vedere fotocopie di questi personaggi ovunque, è importante che gli autori, scrittori o sceneggiatori, quando scrivono un personaggio femminile ci mettano la stessa cura e la stessa complessità che adottano per i personaggi maschili. “Donna” NON è una caratteristica a sé stante, sufficiente a caratterizzare un personaggio, perché ci sono infiniti modi di essere donna.