Sì, vestirsi in modo sexy è un nostro diritto. Problemi?

All’inizio dell’estate Internet è stato infiammato dall’intervento di uno ‘scrittore’ venticinquenne genovese che ha conquistato il suo quarto d’ora di notorietà nel modo più banale possibile: dicendo un’idiozia. In risposta, decine di siti hanno prodotto argomentate confutazioni, iniziative di protesta, lunghi post di dileggio, che hanno il grande merito di aver affrontato di petto non solo l’idiozia contingente, ma la mentalità ad essa sottesa, che a giudicare dai commenti a quegli stessi articoli continua a girare impunemente (e orgogliosamente!) nella nostra società. Pertanto, ignorando l’idiozia, mi accingo ad affrontare la vera, fondamentale questione: c’è ancora troppa gente che pensa che le donne e le ragazze vestite in modo sexy siano “troie”, e per questo “se la siano cercata”/”se lo meritino” nel caso vengano molestate o stuprate, oppure rappresentino un’offesa al decoro, oppure stiano mercificando sé stesse, svendendosi e riducendosi ad oggetto, oppure stiano svendendo la loro femminilità. Qualunque sia la scusa prescelta, ci sarà sempre qualche Catone pronto a suggerire che le donne, per il loro bene, dovrebbero coprirsi ed essere più pudiche.

Perciò, ribadiamolo ancora una volta: ogni ragazza e ogni donna, così come ogni ragazzo e ogni uomo, ha diritto a vestirsi come vuole, senza essere giudicata per questo, senza che questo dia ad altre persone “diritto” a delle pretese su di lei, come quella di invadere il suo spazio personale, fischiare nella sua direzione, suonarle il clacson, ecc: tutte queste sono molestie sessuali, a meno che lei non manifesti esplicitamente che questi comportamenti le fanno piacere.

Le ragazze e le donne scelgono come vestirsi soprattutto per stare bene con sé stesse, per sentirsi a proprio agio: come ha riassunto brillantemente Caitlin Moran, la femminista più divertente degli Anni Duemila (nonché icona di costume e critico musicale inglese):

Quando una donna dice “Non ho niente da mettermi!”, ciò che davvero intende è: “Qui non c’è nulla che vada bene per incarnare la persona che voglio essere oggi”. 

L’abbigliamento di una donna è costantemente sotto osservazione e fin troppo spesso determina l’atteggiamento delle persone nei suoi confronti, in modi purtroppo non sempre piacevoli. Alcune persone pensano che il fatto che una ragazza sia vestita in modo sexy li autorizzi a trattarla come un pezzo di carne in mostra, per altre il fatto che una donna manager indossi un sari ad una conferenza sminuisce automaticamente la sua autorevolezza, per altre una ragazza che ad una fiera del fumetto faccia cosplay con un costume succinto significa che è un’attention whore, che vuole solo mettersi in mostra.

Le donne non si vestono per lo sguardo altrui. Questo non significa che le donne non si vestano in modo sexy (anche) per essere ammirate, o per sedurre un uomo, significa che è dovuto loro rispetto indipendentemente da come sono vestite, perché il loro abbigliamento è una questione che riguarda solo loro e tutte le persone che loro decidono di coinvolgere nella questione, non chiunque passi per strada. L’abbigliamento non implica niente: né disponibilità o indisponibilità sessuale, né moralità o immoralità, né stupidità o intelligenza. Queste cose le vedono coloro che guardano le donne attraverso la loro lente di matrice patriarcale in cui le donne esistono solo in funzione degli uomini, e di conseguenza tutto ciò che le donne fanno loro fanno per gli uomini. Sì, una donna può vestirsi in un certo modo per essere ammirata dagli uomini (c’è differenza fra un discreto sguardo d’interesse e l’essere fissate in modo morboso, e se il primo fa piacere, il secondo è disgustoso e umiliante), ma nessuna donna si veste appositamente per attirare l’attenzione degli idioti che le urlano contro “bel culo!” o per farsi palpeggiare dal vicino di sedile in metro. Insinuare ciò è disgustoso ed è un ottimo modo per delegittimare la voce delle donne attraverso lo slut-shaming (umiliare e disprezzare le donne che si vestono in modo sexy e/o hanno una vita sessuale attiva con diversi partner) e il victim-blaming (dare la colpa alla vittima per crimini come stupro, violenza domestica o molestie sessuali, insinuando che sia stata la causa della violenza in quanto avrebbe “provocato” l’autore della violenza).

Una donna che si veste in modo sexy lo fa perché vuole essere bella e sexy, punto. Questo non significa che stia “mercificandosi”, come obiettano tante e tanti che hanno una visione moralista del femminismo: mercificare significa “ridurre a merce o a fonte di profitto valori, beni o attività che non hanno di per sé una natura commerciale” (Zingarelli 2011) e non vedo assolutamente come esprimere in modo libero e autonomo la propria sessualità attraverso l’abbigliamento sia una forma di mercificazione. Un simile ragionamento implica che è l’essere sexy ad essere “sbagliato”, non l’oggettivazione. Vestirsi in modo sexy o volersi mostrare in modo sexy è molto diverso dalla mercificazione del corpo femminile operata dai media. Come femministe, siamo ancora impegnate, nel 2013, a lottare contro la mentalità comune per cui chi indossa la minigonna o gli shorts se l’è cercata, è una troia, è una persona superficiale e vuota, ecc.: per quanto non lo condividiamo (il che non significa che io sia fra quelle che non lo condivide, tutt’altro, è un discorso generale), dobbiamo sostenere la libertà di vestirsi come si vuole ed esprimersi e apparire come si vuole sia nella vita reale che su Internet. Altrimenti non facciamo altro che alimentare ciò contro cui combattiamo, i doppi standard, la divisione troia/brava ragazza, lo slut-shaming.

Ai saldi ho trovato un meraviglioso paio di shorts in pizzo nero. Sono eleganti e rock allo stesso tempo, comodi, leggeri, mi slanciano le gambe e vanno con tutto: per quest’estate praticamente non ho indossato altro, abbinati ad una t-shirt, con le ballerine o gli anfibi. Li metto perché mi fanno sentire bene, mi fanno sentire bella e perché sono adatti al caldo estivo (mentre scrivo ci sono 29.6° nella mia stanza, e fuori sotto il sole è peggio). Indossandoli, sto “svendendo” la mia femminilità? Non credo proprio. Credo anzi che ogni ragazza e ogni donna esprima la sua femminilità in modi diversi (si può essere femminili amando il rosa e i peluche, si può essere femminili amando lo stile gotico, femminili in shorts e scarpe da tennis, femminili in jeans da uomo e camicia a quadri) perché la femminilità è un’essenza individuale, che ognuna sente e interpreta diversamente, non una “norma” rigida e immutabile alla quale bisogna conformarsi.

Credo che la libertà di vestirsi come si desidera, anche in modo sexy, rientri pienamente nell’ambito della libertà d’espressione e debba essere tutelato come tale, senza considerazioni di tipo moralistico. Vorrei concludere con due testimonianze sull’argomento di due ragazze americane, raccolte sul blog Dr. Nerdlove, per cui nutro ammirazione sconfinata:

Women don’t really have a space where we can express our sexuality without being ridiculed or shamed for it. (Think about it… how many “slutty” costumes do you see women wearing on Halloween? A lot of girls feel that that’s the only time they can wear something audacious like that.) We also grow up in a culture where women are taught to be ashamed of their beauty, that there is something wrong in taking pride in it or, God forbid, flaunting it. We’re taught to downplay compliments. “Wow, your hair looks so good today!” “Really? I don’t think my hair is that pretty.” It took me a very, very long time to be able to respond to sincere compliments with a “Thank you!” instead of deprecating myself a little. So, yeah, for me, admitting that I’m beautiful, celebrating that and letting the world know that I won’t be shamed into submission is a liberating form of self expression. (Hannah Solo)

Girls are told to be pure and beautiful – the “saint” side – because otherwise they’re sluts/only looking for attention. Yet we’re expected to have a “naughty” side as well, or otherwise we’re just prudes. Sometimes, wearing slutty costumes in what we consider a “safe” or “pre-approved” environment isn’t about attention. It’s about gaining control over our own sexuality and beauty. 
Example: I frequent a goth club. I often wear thigh highs, short skirts, high heels, and corsets with dramatic eye make up and “kinky” jewelry. But I guarantee you, I don’t do it for the attention. I have large boobs and I get unwanted stares and catcalls on public transportation, streets, and stores enough as it is. I don’t want or need more attention. Wearing those clothes to a club that I think of as safe and non-judgmental, surrounded by friends and the other regulars, is a way of taking back what I feel is sometimes stolen from me in my daily life by those stares and catcalls. It’s a way of saying “Yes, this is me, this is what I feel beautiful in and I refuse to feel dirty when you look at me.(MikanGirl)

 

30 pensieri su “Sì, vestirsi in modo sexy è un nostro diritto. Problemi?

  1. Concordo, comunque bisogna ricordarsi che sono(anche) le donne a insultare le altre donne che si vestono sexy,e ovvio che una bella donna con un vestito sexy verrà molto guardata dagli uomini, poi ci sarebbe una considerazione da fare sul discorso mercificazione, lasciamo stare la pubblicità lasciamo stare le veline , concentriamoci sul mondo della musica, prendiamo una cantante oppure un gruppo femminile, sono loro a decidere tutto sullo stile musicale sui videoclip ecc….., e molte di loro nei propri videoclip decidono di usare molto sex appeal , posso farti l’esempio della band russa “SEREBRO” guarda il loro video “Gun” o “malo tebya” e giudica tu, il punto a cui voglio arrivare è, il quel caso dobbiamo parlare di mercificazione oppure di libertà femminile?

    • La linea in questi casi è molto, molto sottile, perché un video musicale è contemporaneamente una forma di libera espressione dell’artista che lo produce e un prodotto fatto per catturare l’attenzione, di chi lo visualizza su YouTube o lo guarda su MTV. Si può pensare che le artiste donne “giochino” sull’essere sexy come una strategia di marketing auto-oggettivante, oppure si può pensare che sia una forma di empowerment…io non seguo molto la cultura pop, ma sono incline a vedere le cose nel secondo modo, come una libera espressione di sé o, se non proprio dell’artista, almeno del suo alter ego, la parte di sé “pubblica”, che sta sotto i riflettori e può permettersi di essere irriverente, sopra le righe, sfacciata e provocatoria proprio in virtù di questo.

      Nel libro “Ci vogliono le palle per essere una donna”, Caitlin Moran racconta di una serata passata in un club di alternativi di Berlino con Lady Gaga: alla domanda “perché ti vesti così?” la popstar le rispose “è per noi”, indicando le persone presenti nella stanza: drag queen, lesbiche, alternativi, hipster e “freak”. Moran concludeva dicendo “Lady Gaga è la chioccia del loro mondo alternativo”, una definizione che trovo perfetta.

      • lady mi hai fatto pensare ad un altra cosa, la cantante Shakira(lo so sono fissato con la musica XD) ha fatto un paio di tempo fa un videomusicale “she wolf” che ha abbastanza sexy(ma senza essere volgare) e lei diceva che suo padre era contento di quel video, la sua unica preoccupazione sua come quella dei suoi genitori e cosa avrebbe detto la gente , e infatti shakira scherzosamente ha detto” o paura di cosa ne pensano i vicini”

      • She-Wolf è una canzone forte, che rivendica il diritto della protagonista alla propria sessualità e ad avere soddisfatti i propri desideri (“A domesticated girl that’s all you ask of me
        Darling it is no joke, this is lycanthropy
        The moon’s awake now with eyes wide open
        My body’s craving, so feed the hungry”). Parla del lato istintuale, del desiderio, e anche se trovo il video piuttosto oggettivante mi rendo conto che è una scelta artistica in tema con la canzone.

      • ma infatti lei dice anzi , che in quel video vuole che le donne escano dalle loro gabbie, ecco il motivo della parte nella gabbia e mi piace molto questa parte “To locate the single men, I got on me a special radar ,And the fire department hotline in case I get in trouble later,Not looking for cute little divos or rich city guys that just want to enjoy
        But having a very good time and behave very bad in the arms of a boy

  2. Comunque bisogna ricordarsi , che esiste anche il discorso del buon gusto , e che poi in certe occasioni bisogna mettersi un vestiario adeguato,poi certi termini che usano gli uomini per apostrofare le donne ci sono quelli offensivi come “troia” “puttana” “cagna” “mignotta” poi altri che non si dicono direttamente al interessata ma sono comunque dei “complimenti” anche se un pò volgari.

    • Il discorso del buon gusto è delicato, insomma, i sandali con i calzini, i leggings leopardati, il rosa fluo abbinato al blu sono tutte cose che preferirei non vedere in giro, ma siccome non siamo a “Ma come ti vesti?” l’educazione e il rispetto impongono di passarci sopra e lasciare ad una persona il diritto di vestirsi anche in modo orribile.

      Esistono occasioni dove è richiesto un abbigliamento elegante, sobrio e formale, come al lavoro, e questo non riguarda il buon gusto, ma il rispettare un “codice” sociale ed esula dalla questione che volevo affrontare nel post (il rispetto è dovuto a una persona comunque si vesta, penso sia ovvio).

      Vorrei che insulti esplicitamente sessisti come quelli che hai citato non esistessero, perché dare della “troia” ad una donna equivale a gettarle addosso uno stigma sociale molto forte per il fatto che ha ed esprime una sessualità.

      • Lady alt concordo con te se parliamo di insulti immotivati ma però se un uomo sta litigando abbastanza animatamente con una donna , al di la del suo vestiario, la donna per insultarlo lo chiamerà “stronzo” e “bastardo” e l’uomo con uno dei termini usati in precedenza, questo mi sembra normale.

      • Quando si è arrabbiati capita spesso di dire cose che non si direbbero in altri contesti, con l’esplicita intenzione di ferire la persona con cui si sta litigando, è normale. E ovviamente pretendere rispetto durante una lite non ha senso.
        Quello a cui mi riferivo è l’uso della parola “troia”, e simili, per denigrare una donna, sminuirla.

  3. c’e’ modo e modo di vestirsi sexy…. diciamo sexy si, ma non zoccole, perché poi a livello subliminale il messaggio che viene recepito dal maschio è quasi di tipo unilaterale… il maschio è visivo e nella fase di attrazione e o pre-attrazione può venire fortemente magnetizzato dal corpo, dal look e da tutto il linguaggio del corpo femminile che attrae. Scadere nel volgare assolutamente no, meglio essere sempre un po più istituzionali perché purtroppo il rischio di apparire ciò che magari non vogliamo essere c’è sempre !!!

    • Approvo questo commento solo per dire che non sono assolutamente d’accordo, che quello che hai scritto è sessista e che se una persona trae conseguenze indebite dall’abbigliamento altrui è parimenti sessista.

  4. Vale anche per le ragazze con il velo? Mi sa di no.. Loro non hanno diritto di coprirsi e/o di coprire i capelli. In un paese dove vige la libertà , tutti possono vestrirsi come vogliono.

    • Mi perdoni il ritardo nel risponderle, ma sono stata via per qualche giorno. Non sono contraria al velo come libera scelta, perché credo che anche le scelte dettate dall’appartenenza culturale e/o religiosa siano scelte libere (nessuna scelta è completamente libera da vincoli e condizionamenti: parlo di libera scelta non in senso assoluto, ma per distinguerla da una costrizione). Non credo nel fatto che le persone possano “lasciare a casa” queste appartenenze, cioè viverle solo nella sfera privata, perché la nostra identità si costruisce anche a partire da questi radicamenti. Peraltro, nessuno se non qualche estremista di destra in Italia impedisce alle ragazze di indossare il velo (hijab), né credo che sia mai stato seriamente in discussione il loro diritto di farlo.

  5. Ma ti rendi conto che la parola “sexy” richiama proprio al sesso? In italiano la traduciamo con “provocante”…quindi se ti vesti “sexy” stai provocando. Detto questo, niente autorizza allo stupro, manco se andassi in giro nuda, ma a pensare che ho davanti una un po troia non ho certo torto!

    • Certo che mi rendo conto. E ritengo che comunque inferire che l’abbigliamento altrui ci riguardi sia sbagliato.
      Se una persona mi scrive un insulto sul vetro della macchina, posso inferire che il suo atto sia una “provocazione” diretta a me.
      Ma considerare una “provocazione” il fatto che un’altra persona esista nello spazio vestita nel modo in cui vuole per ragioni che non mi devono riguardare…per me è assurdo.

  6. … e se i tuoi shorts di pizzo neri li vedessi indossati con push-up (tette al collo) e tacco 15 rosso? È sempre una questione di misura. Non sono bigotta, ma vestirsi come le passeggiatrici ti fa sembrare una passeggiatrice… ed, evidentemente, vuoi sembrare una passeggiatrice… O hai problemi esistenziali, o vuoi attirare un certo tipo di attenzioni…

    • L’intero punto del mio scritto è ribadire che il modo in cui una persona si veste non è affare che riguardi le altre persone.
      Io non mi vesto per le reazioni degli altri, e non ho problemi esistenziali, grazie: io mi vesto per sentirmi bene con me stessa, a seconda del mio umore. Ci sono giorni in cui voglio sentirmi sexy, giorni in cui voglio sentirmi una guerriera, giorni in cui voglio esprimere la mia gioia, giorni in cui voglio passare inosservata. Ma tutto questo riguarda me, e solo me. Riguarda come mi sento quando vedo il mio riflesso nelle finestre arrivando in università.
      Quello che gli altri possono pensare di me è solo rumore mentale: non ho niente da dimostrare a perfetti estranei che attraversano per caso lo stesso spazio che mi trovo ad attraversare io.
      Un altro discorso lo potrei fare per chi si permette di venire nel mio spazio per sputare giudizi su di me. Cosa ti fa sentire legittimata a farlo?

  7. Piuttosto siamo noi maschi a non avere la libertà di vestirci come vogliamo. Per noi l’abbigliamento è tutto uguale e monotono, “quadrato”. Non esiste effettivamente un equivalente maschile di quello che può essere definito abbigliamento provocante. E’ difficile persino immaginarlo se non ricorrendo all’estetica femminile, e questo la dice lunga su quanto siamo tutti vittime di stereotipi e canoni molto limitati.
    Chi arriva a dire certe cose lo fa per invidia. Questo non gli dà di certo ragione, ma anche voi donne da parte vostra cercate di comprendere la frustrazione e il disagio di chi non ha le libertà che avete voi. Specialmente poichè molte di voi approfitta di queste libertà senza etica nè rispetto, credendo che la libertà giustifichi la mancanza di buon senso.

    • Ti ringrazio per il tuo commento e ti chiedo scusa per il ritardo nella moderazione.
      Non credo che il fatto che esistano limiti molto restrittivi nell’abbigliamento maschile sia una valida ragione per giustificare limitazioni all’abbigliamento femminile (posto che il “buon senso” non è qualcosa su cui potrà mai esistere un accordo universale, e di fatto siamo in una situazione più vicina all’esistenza di tante valutazioni differenti del buon senso quanti sono gli individui piuttosto che a una di accordo intersoggettivo).
      Di fatto, se le possibilità per l’abbigliamento maschile sono così ridotte, quello che dovremmo fare è inventare nuovi spazi di possibilità.
      E al contempo è necessario riconoscere che restringere gli spazi di possibilità altrui sulla base di “invidia”, “frustrazione” e “disagio” non è legittimo.

  8. Vorrei ricordare che il cat calling esiste anche se le donne non sono vestite in modo “provocatorio”…. il che sottolinea davvero il fatto che non siamo noi donne il problema, bensì gli uomini che usano fischiare per strada.

    • è un’abitudine che veramente gli uomini devono lasciarsi alle spalle, perché contribuisce a creare quell’attrito che fa sì che le donne non sentano di poter attraversare e vivere lo spazio pubblico come loro. Quel tipo di sguardo, di imposizione della propria presenza come intrusiva – se non minacciosa – alimenta la percezione di insicurezza, in me per prima.

  9. Esiste il sacrosanto diritto di ognuno di vestirsi come vuole ovviamente. Gli uomini che mancano di rispetto alle donne sono omuncoli con poca dignità.
    Le uniche ‘limitazioni’ che vedo sono quelle del dress code, magari in un ambiente di lavoro o professionale. E in generale, la questione del rispetto altrui. Per mio carattere mi troverei molto a disagio accanto, ad esempio, ad una collega che usa scollature o un abbigliamento cosiddetto ‘sexy’. Non siamo fatti di legno e pur adottando un comportamento assolutamente corretto, ci si potrebbe comunque sentire non a proprio agio. Ma si parla di contesti ben specifici.
    Ognuno poi la propria morale, le proprie convinzioni, ma che finiscono esattamente dove finiscono quelle degli altri.

    • Ti ringrazio per il tuo commento. Quando ero ancora al liceo avevo idee più polemiche sui dress code aziendali, ma avvicinandomi al mercato del lavoro o comunque a occasioni in cui, anche nel contesto universitario, è necessario rappresentare un ruolo e un’istituzione, mi rendo conto che i codici che comunicano professionalità sono necessari per tracciare quel confine fra il sé individuale che possiamo esprimere nella vita privata e il ruolo.
      Mi rendo anche conto che ogni contesto comporta un set di aspettative e il contesto lavorativo più di tutti. Non tutte le aspettative sono giuste, perché possono contenere retaggi sessisti (come l’aspettativa che le donne portino scarpe con il tacco, quando esistono scarpe basse eleganti e professionali che non uccidono i piedi) o etnocentrici (come l’idea che certi stili di acconciatura delle donne nere siano “non professionali” a priori). In un ambiente di lavoro sano le aspettative possono essere oggetto di dialogo e negoziazione, e i codici possono essere ridefiniti in un processo condiviso e aperto piuttosto che imposti.
      Ma come osservavi questo attiene a contesti in cui non siamo solo noi stessi, ma siamo chiamati a incarnare un ruolo che va oltre l’individualità. La nostra individualità, invece, deve essere libera di esprimersi quando ci lasciamo alle spalle le responsabilità di un ruolo professionale, e questo include potersi sentire sexy in tutta libertà. Anche perché, al di fuori dei ruoli professionali, nessuno è obbligato a interagire con qualcun altro, e prima di voler limitare la libertà altrui è doveroso fare un passo indietro e tenersi per sé il proprio eventuale disagio – non sarà molto diplomatico, ma è parte del convivere.

  10. Bellissimo articolo, anche io mi vesto a seconda del mio umore e per me. Ci sono volte dove mi sento veramente sexy mettendo un maglione a collo alto e un completo come quello degli uomini detective del secolo scorso o mi sento sexy con un vestito corto. Appena vedo qualche vestito penso subito che sarei bellissima con quell’abito. Inoltre metto in secondo piano l’attenzione degli uomini, specialmente la mia cotta. Purtroppo è un dato di fatto che la maggior parte degli uomini attrae di più una donna che mostra più pelle ma secondo puoi attirarlo anche con outfit da nonne. Secondo me il vestiario delle donne viene giudicato da una mentalità che ancora ha radici del patriarcato e dal maschilismo, secondo me evolvendo la mentalità non avremo più queste problematiche, alla fine ognuno si veste come vuole e deve fregarsene degli altri(anche se nell’ambito lavorativo meglio essere modesti)

    • Ciao, grazie per aver lasciato un commento in questo piccolo spazio! Anche secondo me la scelta di come vestirsi è prima di tutto una questione di espressione di sé, della propria identità, del proprio umore. Lo sguardo degli altri viene dopo, e presupporre che una donna sia costantemente alla ricerca dell’attenzione maschile – e nemmeno un’attenzione scelta di qualcuno in particolare, ma dell’attenzione generica di chiunque passi di lì – è incredibilmente sessista e riflette il pregiudizio patriarcale che considera il corpo di una donna nello spazio pubblico come un corpo che ‘emana’ disponibilità.
      E’ un po’ che non ritorno su questo scritto, ma trovo che l’esperienza del sentirsi sexy per conto proprio sia un’esperienza che dà forza, e parimenti un’esperienza che può essere spezzata da sguardi troppo invadenti, commenti sgradevoli e in generale quell’entitlement di certe persone che pensano che l’essere sexy di una donna sia PER LORO.

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